A partire dall’inizio del nuovo anno, precisamente dal 1 gennaio 2015, sono previste importanti modifiche per quanto riguarda l’applicazione dell’IVA sui beni immateriali venduti online, quali ad esempio software, app, servizi online, eBook, abbonamenti e molto altro ancora. L’aliquota IVA che verrà applicata, infatti, sarà quella prevista nel paese di residenza dell’acquirente e non più quella in vigore nella nazione in cui ha sede il negoziante.
Facendo un esempio pratico, se un utente tedesco acquista online un bene immateriale da un sito e-commerce italiano, l’IVA applicata non sarà del 22% ma del 19%, come previsto dal Paese di Berlino. Viceversa, un cittadino italiano che acquista un bene immateriale da Paesi europei in cui vige un’aliquota IVA più bassa, si vedrà comunque applicare l’IVA al 22%.
La nuova normativa europea relativa al’e-commerce diretto stabilisce inoltre che sarà compito del venditore verificare l’indirizzo di residenza dichiarato dall’acquirente e applicare di conseguenza l’IVA. Lo scopo della normativa, ovvero quello di stringere le maglie intorno a colossi e-commerce quali Amazon e Google, sembra però interferire con le realtà imprenditoriali di piccole e medie dimensioni; il provvedimento è infatti stato contestato con una petizione poiché costituirebbe un un impegno notevole ed importanti investimenti economici, rischiando di mettere in crisi le imprese più piccole. Il legislatore, infatti, non ha imposto una soglia minima di fatturato annuo col risultato che tutte le imprese, anche quelle che hanno un giro d’affari limitato, saranno egualmente costrette ad attrezzarsi.
L’unica manovra messa in atto per agevolare le piccole imprese è il sistema MOSS (sigla che sta per Mini-One-Stop-Shop) con cui, nel caso dell’Italia, l’Agenzia delle Entrate funge da “intermediario”. L’IVA può essere infatti versata al fisco italiano che poi la girerà al Paese interessato. Rimane comunque responsabilità del venditore verificare la nazionalità dell’acquirente raccogliendo almeno due prove: la prima – la più semplice – è rappresentata dall’indirizzo IP che fornisce di per sé un’indicazione circa l’area geografica da cui si collega l’utente, la seconda – più complicata – consisterà nell’annotare codici fiscali o gli estremi di un documento di identità.
A seguito della normativa, dunque, molte aziende stanno iniziando a segnalare ai propri clienti le variazioni dei termini del servizio e anche di alcuni costi: Skype, ad esempio, applicherà aumenti del 7% dato che ora si calcola tutto sull’iva del 15% di Lussemburgo. La normativa si applicherà anche agli affitti su Airbnb: se fino al 31 dicembre l’IVA sarà calcolata al 23%, essendo il quartier generale sito a Dublino, dal 1 gennaio Airbnb ricalcolerà automaticamente l’IVA in base al paese di residenza dell’ospite.
Rientrano nella legge anche app di smartphone e tablet: comprando un app dell’AppStore un italiano pagherà l’IVA al 22% ma è probabile che per una questione di arrotondamenti la percezione di eventuali variazioni sarà minima. Va comunque ricordato che la normativa europea vale solo ed esclusivamente per transazioni B2C, quindi da aziende a consumatori finali, non da aziende a aziende o liberi professionisti.