Crisi-Ecommerce-CinaL’epoca d’oro delle vendite online in Cina sembra in crisi: forse a causa del rallentamento nella crescita economica del Paese, o per la crisi che ha colpito le borse o, ancora, a causa di una campagna per contrastare la corruzione che ha spinto molti funzionari del Partito Comunista ad essere più cauti e parsimoniosi nelle spese.

Le ragioni non sono ancora del tutto chiare, fatto sta che in Cina non si fanno più affari come in nel passato molto recente e le società che si occupano di vendere beni di consumo devono fare più attenzione e inventarsi qualcosa di nuovo per mantenere alti i loro fatturati.

I dati parlano chiaro, il trimestre appena passato ha visto un calo delle vendite in Cina che ha colpito numerose società, tra cui Nestlé, Hugo Boss e Burberry, tre brand che stanno cercando da tempo di trovare nuovi modi per intercettare la domanda cinese di beni occidentali. Nestlé, insieme alla francese Danone, sta cercando di espandersi nel mercato delle vendite di latte artificiale via internet, mentre la società tedesca Metro AG si è accordata con il gigante cinese delle vendite online Alibaba per vendere caffè e biscotti tedeschi. L’e-commerce è infatti uno dei settori dell’economia cinese che, nonostante la crisi, restano in crescita.

James Roy, direttore del China Market Research Group, dice che «bisogna essere flessibili per andare incontro al mercato. L’epoca del “tutti quanti comprano le stesse grandi marche” è finita». Wan Ling Martello, direttore della divisione Asia di Nestlé, ha detto in una conferenza stampa: «Non c’è dubbio che la Cina abbia rallentato. Il mio obiettivo è riportare la mia divisione alla crescita nonostante questa situazione».

Essere flessibili, per i grandi tanto quanto per i piccoli marchi, significa modificare il proprio approccio al mercato e introdurre elementi di novità nella propria strategia di business; il caso Nestlè parla chiaro: la società è entrata nel mercato cinese nel 1908 e da allora ha sempre riportato una crescita incessante, tanto che oggi la Cina è per la Nestlé il suo secondo mercato più grande e genera il 7 per cento del suo fatturato.

Più precaria la situazione della casa di moda britannica Burberry, che ottiene più del 30 per cento del suo fatturato dalla Cina e solo il 2 per cento dal Giappone. Hermes, il produttore di borse francese, ha mostrato un incremento delle vendite del 20 per cento in Giappone, dove moltissimi turisti cinesi vanno per fare shopping.

Sono tanti i settori del mercato cinese che hanno perso “colpi”: LVMH, una multinazionale specializzata nella produzione di beni di lusso, ha chiuso un negozio TAG Heuer (società svizzera che opera nel settore degli orologi di lusso) a Hong Kong e ne ha aperti di nuovi a Tokyo e Melbourne, dove arrivano sempre più turisti cinesi. «Seguiamo i consumatori cinesi ovunque vanno», ha detto Claude Biver, presidente di LVMH.

Anche le società che producono bevande alcoliche hanno perso molti soldi a causa della campagna anti-corruzione del governo, ma non si perdono le speranze. La domanda di alcolici prodotti in Occidente è in crescita del 3 per cento quest’anno, rispetto a una perdita del 10 per cento nella seconda metà del 2014. Tradizionalmente le principali vendite di liquori europei avvenivano nei bar karaoke e nei nightclub dove i funzionari governativi andavano a passare le loro serate e spendere in alcolici costosi i loro stipendi. Adesso, nel timore di essere accusati di spese poco consone, queste spese sono state tagliate.

Anche la Nestlé resta molto ottimista per le prospettive a lungo termine del mercato cinese. Inoltre, non tutti i prodotti hanno subito cali nelle vendite. I caffè solubili sono in crescita dell’8 per cento e un particolare nuovo tipo di Nescafé ha vendite che sono aumentate del 25 per cento nell’ultimo trimestre. Anche l’e-commerce è in crescita e alcune stime ipotizzano che entro il 2018 avrà un volume d’affari superiore a quello di Europa e Stati Uniti messi insieme.

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