Negli ultimi giorni non si fa che parlare dell’e-privacy directive, la normativa europea che tutela i dati personali sul web. Si tratta di un campo molto delicato e per certi versi ancora sconosciuto, in particolar modo nel nostro paese, dove a molti è sfuggita la portata dei cambiamenti che la normativa apporterà.
Entrata in vigore in sordina, la direttiva ha nel mirino, oltre alla questione della privacy, anche lo spam e i cookies ed è forse proprio per questa ragione, che l’interesse internazionale sta dando vita a una vera e propria polemica, in particolare in paesi come la Gran Bretagna.
In Italia, invece, proprio in questi giorni il consiglio dei Ministri ha analizzato due decreti legislativi che accolgono le disposizioni Ue in materia di comunicazioni elettroniche e si appresta a mettere mano al Codice delle comunicazioni italiano.
La Direttiva Ue 2002/58, emendata dalla 2009/136, sfiora un tema molto bollente, dicendo cosa i gestori di siti Internet devono fare per essere in regola con la privacy dei loro internauti. Punti focali della direttiva sono le nuove regole di trattamento dei dati personali, che non possono essere conservati dai provider oltre un certo periodo di tempo e proibisce l’uso di indirizzi email in assenza di autorizzazione. Poi lo spam. L’articolo 13 della direttiva proibisce esplicitamente di utilizzare l’email di qualcuno a scopi commerciali senza che questi abbia acconsentito (stesso divieto vale per gli sms via cellulare). Infine i cookies, le stringhe di testo di piccola dimensione usate per eseguire autenticazioni automatiche, tracking di sessioni e memorizzazione di informazioni specifiche riguardanti gli utenti che accedono a determinati siti Internet. La nuova direttiva Ue impone ai gestori di server e siti Internet di chiedere il consenso esplicito, in gergo “opt-in”, per memorizzare determinate informazioni (ad eccezione per i cookies indispensabili alla navigazione).
A scatenare la battaglia sono proprio i cookies, i “biscottini”. Sono loro l’autentico bastone nelle ruote ad un settore ancora allo stato embrionale, ma dalle aspettative dorate per il business: l’e-commerce. La possibilità di conservare le informazioni di navigazione di un utente, infatti, costituisce un elemento essenziale per quelle aziende o società che vogliono, ad esempio, proporre degli annunci pubblicitari online mirati. Per questo, ad oggi, buona parte degli ads che compaiono su siti come Facebook o sui portali di posta corrispondono spesso al nostro profilo e alle esigenze che abbiamo in quel determinato momento.
Va da sé che la web economy sia preoccupata, in quanto chiedere ogni volta il permesso agli internauti di registrare la loro navigazione vorrebbe dire trovarsi di fronte ad un’alta percentuale di rifiuti, non fosse altro per diffidenza.
In Italia a chiedere al Governo di non recepire la norma in modo troppo stringente è stato Netcomm, consorzio per la promozione del commercio online, secondo il quale in gioco ci sarebbe lo stesso destino dell’e-commerce che, nonostante il ritardo italiano nel settore, quest’anno registrerà una crescita del 18 per cento come nel 2011, un giro d’affari di 9,5 miliardi di euro (secondo uno studio dell’Osservatorio e-Commerce B2c Netcomm e School of Management del Politecnico di Milano).