Quando parliamo di e-commerce dobbiamo considerarne il significato in senso lato, non solo quindi come commercio elettronico ma come acquisto digitale: oggi ci sono in Italia circa trenta milioni di persone – metà della popolazione – che si informano online prima di acquistare online. La metà di loro – circa 16 milioni – acquistano online e 3/4 di questi ultimi si servono frequentemente della rete per effettuare i propri acquisti (circa tre prodotti al mese).
L’e-commerce B2C in Italia vale 16 miliardi e 600 milioni di euro – dato in crescita rispetto al 2014 di circa il 16%. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo osservato l’ingresso online da parte di tantissimi operatori in differenti settori merceologici: ingressi nel mondo dell’abbigliamento, del fashion, del food, del fai da te, nell’arredamento e così via; tutti settori che – fino a qualche tempo fa – erano scoperti dal punto di vista della presenza online. Tuttavia la penetrazione del commercio elettronico nel nostro Paese è ancora limitata.
Klaus Schaedle – Amministratore delegato GLS Italia – sostiene che l’e-commerce italiano è ancora in via di sviluppo ed è parecchio lontano dagli obiettivi raggiunti dal mercato e-commerce europeo; se ci confrontiamo con i principali mercati europei, infatti, la penetrazione italiana è molto più bassa rispetto a quella degli altri paesi: per esempio nel Regno Unito – che è il mercato più evoluto da questo punto di vista – il tasso di penetrazione dell’e-commerce è del 17% contro il 4% in Italia.
Roberto Liscia sostiene che pià che di e-commerce si debba parlare di Net Retail: il negozio è diventato un’estensione del comportamento digitale dell’offerente e dell’acquirente; secondo le ricerche Netcomm, infatti, dei 19 milioni di consumatori che hanno lo smartphone, circa 13 milioni guardano la merce online e poi si recano nei negozi fisici per vedere se i prodotti fanno davvero al caso loro e viceversa, di questi 19 mln, ben 8 milioni – mentre sono in negozio – si informano online e addirittura fanno l’acquisto online; quindi la frattura che c’è tra il negozio e il digitale deve essere ripensata in un modello non soltanto d’acquisto ma anche di servizio, di vendita e di integrazione tra i due canali che deve andare nella direzione che il cliente si aspetta. Il più grande valore, da parte dell’acquirente, può infatti essere trovato nell’utilizzo congiunto del negozio fisico e del canale online; ignorare l’e-commerce è una strategia controproducente per tutti gli operatori di qualsiasi settore merceologico: anche gli operatori tradizionali dovrebbero iniziare a considerare il digitale come una reale opportunità di crescita per il loro business complessivo e non come una minaccia, invece, per il proprio negozio.
La nostra distanza, sia in termini di vendite che in termini di acquisto, è abissale: secondo l’esperienza riportata da Schaedle, l’Italia è indietro di circa cinque anni rispetto agli altri mercati europei attivi nell’e-commerce. La carenza di offerta digitale nel nostro paese si rispecchia anche nei dati: il numero di consumatori che in Europa comprano al di fuori del proprio paese d’appartenenza, il 30% comprano in Germania, il 20% comprano in Inghilterra, il 15% in Francia, mentre solo il 4% dei consumatori esteri comprano in Italia.
L’unica cosa certa è che il consumatore italiano sta evolvendo più velocemente delle imprese perché si sta abituando ad avere un approcio digitale all’acquisto.