L’atmosfera a Palo Alto non è delle migliori: quanti si aspettavano il boom di Facebook in Borsa sono costretti a ricredersi. Colpa di un prezzo di collocamento troppo elevato, 38 dollari per azione? Sicuramente sì, ma non solo.
Insomma, questo debutto di Facebook che si è quotato in borsa venerdì 18 maggio è partito veramente con il “piede sbagliato”: a cominciare dal ritardo di mezzora che ha caratterizzato l’avvio delle operazioni, un’eternità se paragonato ai ritmi frenetici che caratterizzano l’attività borsistica. La colpa in questo caso è stata del Nasdaq, l’indice tecnologico americano che si è occupato della procedura dell’IPO. Non è ancora stata precisata la natura del problema che ha causato uno slittamento di oltre 30 minuti, quel che è certo è che gli investitori che avevano prenotato quote poi non assegnate a causa del disservizio già promettono azioni legali, oltre all’ipotesi tutt’altro che remota che sia la stessa SEC ad entrare in gioco e stabilire colpe e responsabilità.
Dopo questo ritardo, l’inizio è sembrato – per pochi minuti – promettente: con apertura a 38$ dollari, le azioni sono schizzate a 42,05$ dollari, con un incremento del 10,7% nel giro di pochi minuti. La performance non era stata ritenuta del tutto negativa, anche perché Wall Street aveva avuto una brutta giornata, col Nasdaq che perdeva oltre il 2% e il Dow Jones circa l’1,2%.
Oggi invece da un lato la Borsa americana va bene (Nasdaq +1,3% e Dow Jones +0,75%), dall’altro il titolo della società di Zuckerberg scende a 33,5 dollari, portandosi dietro tutto il settore di Internet. Linkedin perde circa il 3% e il social network cinese Renren il 7%.
Gli analisti avevano manifestato qualche perplessità già prima dell’Ipo della società californiana, e il mercato sembra ora dar loro ragione. La valutazione complessiva per Facebook è stata di 100 miliardi di dollari. Forse troppo per una società il cui utile si aggira intorno ai 3 miliardi e mezzo di dollari l’anno. Zuckerberg ha provato a spiegare la disparità tra i due valori come una scommessa sul futuro, forte soprattutto dei 900 milioni di utenti del social network. Ma il fatto che il business della società per ora ruoti principalmente intorno alle inserzioni pubblicitarie, e che quelle inserzioni non diano una grande affidabilità agli investitori, spiega alcune delle perplessità attuali. Il colosso americano dell’automobile General Motors ha da poco deciso di ridurre il proprio investimento in pubblicità su Facebook.
La caccia ai motivi del flop è vivacissima: secondo Rich Karlgaad, sarebbero addirittura sette i motivi per i quali l’ipo è da considerarsi un fallimento. Uno, è arrivata troppo tardi. Poi non riscuote le simpatie del fondatore, che – secondo Forbes non a caso – fa attendere gli investitori a New York e si presenta in felpa. Terzo motivo, Zuckerberg e i suoi amici hanno fatto incetta delle azioni, lasciando poco o nulla all’investitore comune. Sicuramente bisogna tenere in considerazione anche la congiuntura economica sfavorevole, con la crisi dell’euro che spaventa i mercati. Quinto e sesto motivo sono “l’invecchiamento” di Facebook, che sempre più persone percepiscono come noioso e iniziano a disdegnare, e il fatto che il social network non è necessario all’economia mondiale. Anche Google non è necessario, ma sarebbe molto più difficile da rimpiazzare per qualsiasi investitore (e non solo). Ultimo motivo, più generale, è che i social media di massa – come Facebook – sono destinati a “estinguersi”: il futuro sarà dei social media specializzati in alcuni settori, come la sanità, dove sia garantita con sicurezza la privacy delle informazioni fornite.
Insomma, per Zuckerberg, che sabato scorso ha sposato la fidanzata Priscilla Chan, il crollo del titolo si traduce al momento in una perdita di 2,2 miliardi di dollari. Il fondatore vede cosi’ il proprio patrimonio personale sgonfiarsi da 19,3 miliardi di dollari a 17,1 miliardi.