GLI SPAZI COMUNI ED IL MUSEO DELL’AUTOMOBILE – Intervista a Architetto Benedetto Camerana
GLI SPAZI COMUNI ED IL MUSEO DELL’AUTOMOBILE
Intervista a Architetto Benedetto Camerana – Presidente Museo Nazionale Automobile
Lodovico Marenco
Buongiorno, siamo qui con l’architetto Benedetto Camerana, che ha costruito e che ricordiamo l’arco Olimpico, il Villaggio Olimpico a Torino e la relativa passerella, ha realizzato il Museo storico dell’Alfa Romeo, il Museo della Juventus, presiede il Museo Nazionale dell’Automobile, il Consorzio del Lingotto e sempre come opera pubblica la Facoltà di Giurisprudenza Luigi Einaudi di Torino. Quindi abbiamo un architetto a tutto tondo che ha realizzato sia strutture museali, oltre che a presiederla, sia facoltà universitarie, quindi spazi comuni, nonché le opere del Villaggio Olimpico, oltre che l’attività che svolge come architetto lui ed il suo studio nella vita di tutti i giorni.
Benedetto Camerana
Giusto
Lodovico Marenco
Grazie Benedetto quindi, con te io vorrei affrontare innanzitutto come stai vivendo a livello personale questo periodo di quarantena
Benedetto Camerana
Devo dire molto bene perché, avendo sostanzialmente due situazioni che posso definire positive se non addirittura privilegiate, una è quella di essere stato, tra virgolette, recluso ma finalmente in uno spazio dove io passerei volentieri tutti i giorni dal risveglio all’ora di andare a dormire che è questo spazio in cui sono adesso che è appunto nella Torre di Piazza Castello che è un luogo fantastico ed un po’il mio rifugio anche di architetto infatti alle mie spalle c’è un plastico di un’altra torre, ci sono tutti i miei plastici, è il mio luogo di pensiero, un po’ quello che tutti gli architetti chiamano il pensatoio, primo aspetto. Il secondo aspetto è che avendo questa mia occupazione principale di pensare la città attraverso il progetto urbano, degli edifici e degli spazi pubblici, ho molti lavori e molti progetti e quindi mi sono trovato in questo periodo a potermi dedicare veramente a fondo a lavorare quindi ho passato questi due mesi sui progetti e sulle mie attività, mattina pomeriggio sera, tutti i giorni, sabato e domenica, con grande piacere e con grande rilassamento tra l’altro no dovendo correre avanti e indietro. Tra l’altro noi siamo fortunati perchè abbiamo avuto una fase di isolamento con la possibilità, come stiamo facendo noi adesso, di dialogare da remoto. Per fortuna abbiamo queste tecnologie per cui noi, come studio, con i nostri committenti, clienti, con i progetti che dobbiamo, che erano in corso e sono rimasti in corso non abbiamo mai smesso di incontrarci, dialogare e scambiare i vari passaggi obbligatori e necessari sulla crescita dei progetti. Quindi, posso dire, questa condizione di non doversi spostare, correre a Milano, a Genova, a Messina ed in altre città, niente di male insomma, ma poter stare tranquillamente sulle proprie carte e poi collegarsi e fare l’incontro e poi rimettersi sulle proprie carte, con qualche piccola disefficienza ma in realtà è formidabile perché sei molto tranquillo sul tuo lavoro e puoi lavorare molto bene. Per cui devo dire che con queste due situazioni che sono evidentemente positive tutte e due, sono fortunate perché se io avessi bottega direi no è un disastro, non potrei fare quasi nulla, non avrei la possibilità di continuare la mia attività, quindi ho avuto un periodo pienissimo.
Lodovico Marenco
Devo dirti che condivido il tuo pensiero, non ho mani raggiunto una efficienza ed una concentrazione come in questi momenti anche io, devo dire che sto molto molto bene. Ecco che cosa ti ha portato a pensare questi due mesi, trasferendolo sulla tua attività di architetto quindi, ad un ripensamento per esempio della fruizione del verde, del ripensare la città. Diciamo che in architettura uno non può adottare dei provvedimenti oggi per domani ma la progettualità è sul lungo termine.
Benedetto Camerana
Non c’è dubbio infatti abbiamo avuto un importante seminario tra le due fondazioni per l’architettura di Milano e di Torino al quale ho contribuito anche io per promuoverlo mettendo insieme le due città che proprio ragionava su quali sono le condizioni strategiche per poter attivare delle azioni, sullo spazio pubblico per esempio, oggi che però abbiano una lunga durata, un respiro molto più ampio cioè non fare delle azioni che si esauriscano nei sei mesi, diciamo, che saranno probabilmente, al massimo, l’orizzonte di questa emergenza ma invece vedere quali sono i valori di lungo respiro che si possono dare a queste azioni. Uno di questi è sicuramente quello della spinta ulteriore che oggi si può dare a una città più sostenibile cioè una città dove l’ambiente ha una valorizzazione maggiore. Io sono uno dei primi in Italia, in Europa ad avere veramente puntato sulla green architecture: sono 20 anni adesso dall’opening dell’ environment park che è stato aperto appunto nell’anno 2000 ed è stato il primo grande edificio pubblico completamente green in Europa, nato a Torino ed è stato il mio primo progetto quindi ho una convinzione storica su questo percorso. Allora cosa si può intendere per città sostenibile? Tante cose ovviamente però è il momento di accelerare di più su quelle qualità per esempio che abbiamo vissuto anche in questo periodo: ci siamo tutti accorti che, nel dispiacere di dover stare blindati in casa, però, il piacere di aprire le finestre ed affacciarsi dai balconi, dai terrazzi, etc , e sentire la città silenziosissima ed avere quest’aria molto pulita. Questa è stata una condizione che abbiamo visto e vissuto in maniera quasi sorprendente: poter tenere le finestre aperte la sera, se si va a dormire tenendo un po’ di fresco senza sentire il rumore del traffico, senza avere il caos della città. Beh, questo è evidentemente l’altra faccia del dover stare chiusi in casa ma, per inciso, questo virus è chiaramente anti urbano, no? Perché colpisce il principio stesso della città che è l’aggregazione, la concentrazione di persone. Invece questo virus ci ha spinti a deconcentrare, a cancellare la densità che è un concetto fortissimo della città. Allora, per esempio, sul silenzio, uno dei punti su cui si può lavorare molto bene è quello di incentivare il passaggio progressivo, se non all’auto elettrica, almeno all’auto ibrida o ad auto molto più silenziose, una Euro 6 a benzina sostanzialmente non fa quasi rumore e non inquina quasi nulla, per esempio, parlando di automobili. Quindi la politica della città, o della nazione, è quella di incentivare. Allora è il momento di accelerare su quelle funzioni che possono facilitare una sostenibilità della città. Altro aspetto, noi a Torino, dialogando con i milanesi ci siamo resi conto del fatto che abbiamo una fortuna: chi va a correre a Milano ha pochi parchi, non ha il fiume, non ha il lungo fiume e quindi, nel momento in cui c’è stato quel passaggio in cui si poteva ancora andare a correre e solo chi andava a correre poteva uscire, o quelli col cane o chi andava a correre, i milanesi erano tutti ammucchiati l’uno sull’altro. I torinesi invece potevano andare in questi parchi, lungo fiume, in questi spazi verdi. Dopo di che è stato chiuso tutto ma al di là di queste polemiche puntuali che sono state anche fin troppo aggressive, il punto vero è valorizzare questa componente della città che è lo spazio aperto, lo spazio naturale, le aree di paesaggio della città il più possibile. Questo è un lascito che viene dall’esperienza della pandemia, dell’epidemia, e sul quale certamente una città deve lavorare adesso valorizzando l’accesso, la fruibilità, il buon governo di queste aree nel maggior modo possibile, curando i percorsi, le aree, realizzando lungo il fiume ancora una o due passerelle che collegano un lato e l’altro del fiume, pedonali ovviamente. Ecco questo tipo di approccio: sono alcuni esempi. La mobilità dolce evidentemente, la bicicletta, ma io dico il monopattino ancora di più perché più adatto alle zone pedonali che non la bicicletta. L’impatto con la bicicletta, lo scontro tra un ciclista ed un pedone è cosa che l’incidentino tra un monopattino ed un pedone. Il monopattino nel centro della città è uno strumento molto utile, molto piacevole, quindi anche la valorizzazione di questo probabilmente è un’azione che oggi si può mettere in atto come politica della città. E poi c’è tutto il capitolo di come riorganizzare eventualmente gli edifici. Questo è il mondo degli immobiliaristi, di chi progetta la residenza, i palazzi per gli uffici: come riorganizzare per condizioni, non quelle che stiamo vivendo oggi, ma che potrebbero ripresentarsi, tutti ne abbiamo parlato e gli esperti lo dicono, nel caso del ripresentarsi si una nuova epidemia, o il colpo di coda di questa o un’altra, o la prossima. Abbiamo visto, sono anni che si parla di Sars e di altre influenze specialissime che arrivano sempre dalla Cina. Questa è stata la più grave, la più violenta ma non è stato qualcosa si completamente diverso da quelle prima. Solo è stata molto più aggressiva e quindi ci ha obbligato a bloccarci ma potrebbe arrivarne un’altra quindi il ragionamento è come ci organizziamo nel caso in cui arrivassero delle altre epidemie.
Lodovico Marenco
Senti Benedetto, le città, soprattutto le grandi città, portano dietro in tutto il mondo il tema delle periferie. Tu pensi che questa sia un’occasione anche per ripensarle?
Benedetto Camerana
Il tema è molto difficile perché evidentemente, prima parlavamo del privilegio di chi se ne sta in una torre con finestre da tutti i lati, la periferia spesso vuol dire densità abitative che nel caso di questa epidemia, di questo, detto all’americana, lockdown, di questa chiusura, obbligo di permanenza in casa, sono state veramente molto pesanti e le periferie hanno sofferto molto di più perché in condizioni di difficoltà socio economica questi obblighi e queste limitazioni alla libertà evidentemente sono pesati molto. Cosa si può fare come ragionamento sulle periferie? Secondo me un tema c’è e l’ho proposto anche al gruppo degli architetti ed è quello del decentramento, un tema su cui ho una convinzione che porto avanti da 15 o 20
Anni: io ritengo che la polarizzazione verso il centro delle città sia un errore. Concentrare nel centro delle città, nel caso di Torino, l’area che va da Piazza Castello fino alla Stazione di Porta Nuova, le attività commerciali, del tempo libero, del divertimento ed anche gli eventi pubblici, tutti in questa zona producono un effetto distorsivo che vuol dire che nelle zone centrali gli abitanti vengono quasi tutti espulsi o pochissimi rimangono, restano solo più attività commerciali, uffici, uffici di rappresentanza, magari un giornale, diventano dei micro luna park del tempo libero, in qualche modo, oppure del comando. Le periferie invece si svuotano: le persone dai quartieri nel tempo libero vengono in centro. Il centro è anche molto bello, non c’è ombra di dubbio quindi è chiaro che stare in piazza Vittorio a bere in un dehors di un bar è molto meglio che stare in qualsiasi altra parte della città, va da sé, lo so. Ma infatti non è che bisogna proibire, bisogna offrire alternative e l’alternativa è cercare di costruire nei quartieri decentrati, che potremmo chiamare periferici ma preferisco non usare questo termine, delle nuove centralità pubbliche dove l’ente pubblico sposta e realizza anche una parte del suo programma di interesse pubblico quindi se hai una manifestazione, e non deve per forza essere la piazza reale centrale, Piazza San Carlo, per forza, per qualche ragione evidentemente di prossimità con qualche ente che sta lì, perché non spostare anche negli altri quartieri per vivere spazi pedonalizzati, piazze, due o tre vie, cercare di costruire dei nuclei di piacere anche nei vari quartieri della città, quindi decentrare. Se così fosse stato, sarebbe stato molto meglio e sarebbe stato adesso molto meglio in una fase 2 perché tutti i quartieri avrebbero delle aree di piacere. Ora questo non è che la città non lo fa, forse deve farlo di più, nel senso che qualche tentativo di montare delle zone pubbliche piacevoli nei vari quartieri già c’è stato ma sono stati un po’ sporadici, non così convincenti. Allora lavorare su questo secondo me è un bellissimo tema per valorizzare le periferie come mi ai domandato. Sono sicuro di questo.
Lodovico Marenco
Perfetto senti, tu hai la fortunata coincidenza di essere Presidente del Museo dell’Automobile e nel frattempo di aver costruito due delle realtà più visitate d’Italia che sono il Museo della Juventus ed il Museo dell’Alfa Romeo. Cosa ci dici? Intanto come verranno gestiti gli spazi, le frequentazioni, se ci sarà uno sviluppo della realtà virtuale, dove state pensando di andare e che tipo di esperienza hai fatto e cosa ci vuoi condividere?
Benedetto Camerana
Beh certo, questo tema, adesso parlo soprattutto come guida strategica del Museo dell’Automobile. Ovviamente siamo chiusi e questo produce un grande problema come per tutte le attività che hanno dovuto chiudere. Peraltro noi possiamo riaprire alla fine di Maggio ma siamo convinti che fino ad un certo punto del 2021, metà 2021, fino a questa stagione, Aprile- Maggio del prossimo anno, noi avremo sicuramente una grande perdita di circolazione delle persone , dei visitatori, e questo vale per tutte le attività culturali. Quindi abbiamo un grosso problema di accesso che per i musei contemporanei, che vivono sostanzialmente autofinanziandosi, chi al 50, chi al 70%, chi anche di più, dei propri costi. Noi come Museo dell’Automobile ci autofinanziamo del 70% e quando diciamo autofinanziamo si intendono i proventi, le entrate, la biglietteria, affitto spazi, la libreria, vendite, tutto quello che si può fare. Non avendo più eventi né visitatori le entrate si azzerano completamente per un periodo abbastanza lungo e pesante quindi questo momento è il giusto momento per, oltre a prendere le misure cautelative di protezione dei conti, di immaginare un futuro che possa lavorare molto di più sulla visita digitale, sulla visita da remoto, su attività in generale che possano dare soddisfazione al visitatore potenziale anche a distanza con strumenti vari che vanno dalla realtà virtuale, alla realtà aumentata ad eventi specifici fino ad esplorare il mondo del gaming, dei videogiochi legati all’automobile sportiva, alla velocità. Noi abbiamo programmato due mostre per il 2020 che spostiamo al 2021, una dedicata alla Formula 1 perché quest’anno ricorre il 70° anniversario della Formula 1 iniziata nel 1950 con la grande vittoria dell’Alfa Romeo 158, e un’altra sulle automobili da Rally che facciamo con la Fondazione Macaluso che è una collezione straordinaria, top nel mondo, che è qua vicino a Torino. Queste mostre le spostiamo ma era per entrare nel tema dell’intrattenimento molto forte del motorismo sportivo, allora anche in quel settore noi possiamo offrire dei contenuti divertenti, appassionanti, anche informanti, magari anche educativi, in un certo senso, ad un pubblico di appassionati. Noi vorremmo costruire, non siamo gli unici ovviamente ma stiamo lavorando per farlo in maniera molto specifica, un pubblico di appassionati, conoscitori ed anche curiosi che possano seguirci a distanza. Questo è molto interessante per il Museo dell’Automobile per un fatto molto particolare: l’automobile italiana è la componente più affascinante e più amata nel mondo dell’automobile. Si, ci sono le auto inglesi che sono magnifiche, le Jaguar, le Bentley, ci sono le tedesche, straordinarie, ma l’automobile italiana è quella che nel mondo scatena le passioni maggiori: Ferrari, Alfa Romeo, Maserati, Lancia. Basta andare a vedere il mondo delle aste della automobili, nelle prime 20 vendute nell’anno, una quindicina, da 12 a 15 sono tutte italiane. Quelle voglio dire vendute con i prezzi più altri, quindi non c’è paragone, l’auto italiana è l’auto che appassiona di più nel mondo. E noi, come Museo Nazionale Automobile, avendo una collezione impressionante fondamentalmente di automobili italiane, siamo il simbolo di questa italianità dell’automobile. Allora io, girando un po’ il mondo come presidente del Museo dell’automobile, ma girando in realtà come architetto e facendo i miei progetti ma incontrando persone nel mondo del collezionismo di automobili, mi sono accorto che Giappone, California, Sud America, Brasile, Argentina, Australia, hanno la passione totale dell’automobile italiana. Quando si parla dell’automobile italiana piccoli collezionista, grandi collezionisti, non vedono altro che l’auto italiana. La possibilità di contattarli da remoto e non attraverso il necessario spostamento fisico dall’Australia, dal Brasile, dagli antipodi del mondo, per noi potrebbe essere un grande vantaggio nel senso che se riusciamo a lavorare molto bene in questo settore possiamo connetterci con un mondo che vuole l’automobile italiana e quindi noi siamo il simbolo. Quindi vorremo lavorare anche su questo orizzonte molto internazionale. E questo può farlo qualunque centro di cultura, piccolo, grande, importante, meno importante. Centri come, non so, a Torino abbiamo il Museo Egizio che è un caso straordinario, ovviamente non è l’italianità come nel campo dell’automobile però è una delle collezioni più importanti al mondo, allora può parlare con un pubblico di interessati, di appassionati, anche di curiosi. Allora questo meccanismo di rompere le barriere permette ai musei ed ai centri di cultura che siano un unicum o quasi un unicum di livello eccellente nel mondo di rompere queste barriere del dover venire fisicamente fino a Torino, una volta nella vita o due, per visitare perché oggi la procedura è un po’ solo quella della visita e poco di più, un po’ di contatto a distanza ma poca roba. Oggi invece vogliamo lavorare per costruire proprio una visita, un modo di dialogare, di avere delle esperienze importanti anche da remoto.
Lodovico Marenco
Guarda io come sai mi occupo da 20 anni di e-commerce quindi del mondo digitale e ti capisco benissimo. Il tema è importante, e proprio grazie al digitale, è di rompere le barriere. Però, secondo me tu ha toccato due aspetti che io trovo estremamente interessanti. Uno, hai detto che potremmo fare dei percorsi educativi e secondo me è importantissimo per aiutare, insegnare e guidare sia i ragazzi fin dalla tenera età ma anche le persone ad avvicinarsi al fantastico mondo dell’automobile. Io mi immagino entrare dentro un motore e ritornare in qualche modo un po’ bambino a fare delle cose. Perché un’altra cosa che io trovo tristissima, lo devo confessare, è come presentano da anni tutti i costruttori le macchine. Cioè io vedo che non hanno sostanzialmente una fantasia […]. Cioè vado al salone, e se ne fanno sempre meno, presento il modello, due belle ragazze vicino alla macchina, faccio il lancio, chiamo i giornalisti, li invito a questi percorsi per provare la macchina, fanno la recensione e quello è il lancio della macchina. Io mi immaginerei invece un maggior coinvolgimento delle case automobilistiche e delle strutture museali come la vostra per usare il museo per esempio , per sollecitare la creatività dei potenziali clienti. Grazie ad una realtà virtuale, la possibilità di chiedere ad n. potenziali consumatori cosa vorrebbero sulla prossima macchina. Penso che dando sfogo alla creatività si potrebbero costruire ed ottenere delle risposte, praticamente una ricerca di mercato quasi a titolo gratuito. Non so cosa e pensi.
Benedetto Camerana
Dunque due cose: uno quella della didattica che è importantissima. Noi abbiamo sviluppato nell’ultimo anno e mezzo con la nuova direzione del museo Mariella Mengozzi, che abbiamo selezionato con una lunga procedura di gara e veniva sostanzialmente dal Museo Ferrari e poi da altre esperienze, quindi molto brava nel campo marketing e nella comunicazione, abbiamo avviato un’attività di didattica molto forte al Museo, lavorando con il Politecnico di Torino, con ricercatori del politecnico e studenti di livello elevato con cui realizziamo una didattica piuttosto importante. Quindi vogliamo dare molto punto, molto respiro, molto approfondimento a questo tema della didattica utilizzando a questo punto, come hanno fatto e stanno facendo i sistemi scolastici, anche in remoto, anche a distanza. Quindi la didattica tecnica, educativa, l’educazione anche alla guida, il rispetto delle regole, quindi il motorismo sportivo può insegnarti anche a gestire i problemi di sicurezza. C’è la guida sportiva, la guida sicura, tutta una serie di cose che sicuramente è bene provare prima di tutte sedendosi al volante, non c’è ombra di dubbio, ma il virtuale ormai è molto, molto avanzato. Quindi vogliamo dare tutto un settore di educazione e lavorarci in maniera profonda e tra l’altro diventerà uno dei centri di entrate, di autofinanziamento più interessanti per un museo.
Beh, quello del lancio di una nuova vettura noi, una delle tante idee che abbiamo avuto è quella di coinvolgere questo potenziale magma di interessati, di appassionati, a delle attività di immaginarsi l’auto che vuoi tu, dei modelli sulla base di desideri, di visione, di immaginazione perché poi è chiaro, le case automobilistiche devono fare le cose che si possono fare, nei tempi giusti, con i costi giusti e via dicendo però sono anche molto attenti a quello che capita. Allora quello che possiamo fare noi, evidentemente noi non abbiamo neanche un decimo della potenza di fuoco di organizzarsi che può avere una casa automobilistica, però abbiamo questo tema dell’indipendenza, della libertà e quindi di poter liberamente, appunto, sperimentare, ricercare, stimolando le persone a tirar fuori idee e curiosità. Quindi questo è uno degli aspetti su cui vogliamo lavorare nel campo della digitalizzazione e della gestione del rapporto fra visitatore virtuale e museo come centro di cultura dell’automobile. Quindi si, sono assolutamente d’accordo che questi sono argomenti che possiamo gestire anche in parallelo con le case automobilistiche.
Lodovico Marenco
Certo perché, secondo me, anche il concetto di museo deve essere sempre qualcosa di più vivo, per esempio, proprio nella nostra amata regione, abbiamo probabilmente la massima concentrazione di cultura automobilistica, da carrozzieri di rilevanza internazionale a tutta la filiera. Probabilmente il Museo dell’Automobile può anche raccontare, tramite applicazioni digitali, completare le storia e, all’interno del museo c’è solo il prodotto finale, la macchina, ma tutto il background culturale lo puoi raccontare per cui ci possono essere dei percorsi di approfondimento. Come nasce un pezzo di ricambio, come lavora un battilastra, e tutte le varie professionalità perché io penso che un’altra cosa che noi stiamo trascurando molto in Italia è la manualità, cioè il lavoro dell’artigiano o dell’operaio specializzato che fino ad ora è sempre stato svilito ed in vece noi ne abbiamo sempre più bisogno di queste professionalità.
Benedetto Camerana
Totalmente. Allora, hai toccato due argomenti: uno è quello del design ed uno è quello dell’artigianalità, della competenza ed anche della formazione. Quello del design è uno dei pilastri del lavoro che sta facendo il Museo. Noi abbiamo un premio, che si chiama “La matita d’oro”, che abbiamo già dato in tre edizioni partendo naturalmente, il primo lo abbiamo dato a Giorgetto Giugiaro, diciamo che sono un po’ di premi alla carriera, a chi ha cambiato la storia del design dell’automobile, ed insieme al premio la mostra che racconta proprio il processo formativo della figura che viene premiata, come si è formato, quali studi ha fatto, come è arrivato al design e poi, naturalmente tutti i suoi risultati, tutti i suoi prodotti automobilistici, come sono stati concepiti. Quindi design come una espressione quasi artistica che sta a cavallo tra l’arte e l’arte applicata, questo è chiaro. A questo settore abbiamo dato molta forza ed è un settore che vede nella città e nel territorio torinese uno dei pilastri assolutamente mondiali. Diciamo che Toni, negli anni 50,60, ancora 70, è stata veramente il centro principale al mondo del design dell’automobile soprattutto nella ricerca della sperimentazione, la prototipazione, i modelli di stile. Il Salone di Torino era il posto dove si partiva dal Giappone, dall’America, a vedere cosa stava succedendo nello stile, negli anni 60, 70, indubitabilmente. Noi lavoriamo molto su questa tradizione e vogliamo costruire una memoria condivisa e trasmissibile infatti lo dico così un po’, in verità lo posso dire ma non è ancora definito, ma stiamo ragionando con importanti musei in Russia che vogliono importare queste nostre mostre già predisposte con catalogo, con ricerca, filmati, interviste a questi grandissimi protagonisti, il primo è stato appunto Giugiaro ma poi abbiamo avuto Gandini, un personaggio altrettanto mitico e meno conosciuto quindi ancora più affascinante per certi versi proprio per questo suo essere stato molto nascosto. Quindi noi costruiamo questo percorso che poi si sposta su un altro pilastro del museo più difficile perché è un pilastro anche economico in qualche modo che è quello del centro del restauro. Noi abbiamo inviato un centro del restauro in collaborazione con il Centro del Restauro a Venaria che ha una specializzazione anche diretta verso tecniche più moderne, più contemporanee come il legno, come il metallo, loro lavorano sull’arte moderna, sull’arte contemporanea, sul recupero di mobili etc, perciò abbiamo appreso da loro molte metodologie scientifiche applicandole alle automobili più difficili che sono quelle dei primi 20,30, 40 anni quindi 1890-1930. Noi lavoriamo molto in quel settore, abbiamo uno staff che abbiamo realizzato, siamo sostenuti in questo dall’Automobile Club d’Italia che ci dà una quota di finanziamento specifica per costruire bene questo settore ed è un settore sul quale stiamo lavorando progressivamente per cercare di valorizzare le competenze che sono ancora presenti nel territorio sul restauro dell’automobile storica. Ci sono appunto dei battilastra, ci sono appunto dei motoristi, dei carburatoristi, dico per dire, che sono ancora bravissimi che sono molto spesso in età all’ultimo proprio, si possono ancora andare a recuperare e trasmettere a delle persone più giovani queste loro competenze. Allora noi cerchiamo di fare questo lavoro di messa in rete, di riorganizzazione, di recupero di queste competenze con questo centro di restauro che sta iniziando a lavorare per alcuni grandi clienti, il primo sarà banale ma sarà FCA che ci ha dato alcune vetture delle quali occuparci che sono quelle più vecchie delle collezioni Fiat, Lanci, Abarth, diciamo quindi Fiat e Lancia, che sono all’Heritage Hub di Via Plava. Loro lavorano molto bene sulle vetture diciamo dalla Guerra in poi che sono più semplici per certi versi anche più vicine al mondo del marketing e della vendita. Esiste un grande mercato di automobili degli anni 50, 60 , 70 evidentemente per certi versi anche più forte di certe parti del contemporaneo mentre noi lavoriamo sulle auto che sono più antiche. Punteremmo nel tempo a diventare un centro che potrà dare anche certificazioni, degli attestati di autenticità essendo noi indipendenti e liberi e non avendo bisogno di guadagnare perché il Museo dell’Automobile, come tutti i musei, non ha finalità di guadagno se non di copertura dei costi, e quindi abbiamo la libertà e l’indipendenza e possiamo essere assolutamente rigorosi nella ricerca di autenticità. E quindi su questo vorremmo lavorare molto a fondo per fare emergere ed anche fare tornare delle competenze del territorio, quindi qui parliamo di formazione e dovremo parlare con Enti Pubblici, Regione etc. Quindi si aprono dei territori interessantissimi anche perché il collezionismo dell’automobile storica è un mondo in crescita continua visto che andremo verso la guida autonoma e ci sposteremo tutti i giorni con dei veicoli magnifici ma che non avranno più neanche un volante. Dico fra una ventina di anni e quindi il sabato e la domenica, nei momenti n cui uno avrà tempo e le persone che potranno staccarsi dal lavoro per certi periodi della loro vita ora potranno tornare a divertirsi in degli specie di autodromi o delle zone del territorio dove potersi attaccare ancora a un volante e divertirsi con questo rapporto con la storia.
Lodovico Marenco
Certo, senti mi hai fatto sognare con questo viaggio nel Museo dell’Automobile. Volevo in conclusione chiederti cosa ti porti a casa da questa esperienza Covid e come pensi di applicarla nei tuoi prossimi lavori e che percezione hai avuto, o hai, nel dialogo con i tuoi clienti e committenti?
Benedetto Camerana
La cosa più immediata è quella che gli incontri si possono rapidamente fare da schermo. Questo secondo me diventa un passaggio che ci cambierà sia nel rapporto con i clienti che nel rapporto con le collaborazioni nel senso che ci sono casi e situazioni in cui ti devi proprio incontrare fisicamente perché riesci meglio a lavorare su un documento, su una presentazione, guardando un plastico, aprendo dei grandi disegni, mostrando un po’ più fisicamente delle cose. E questo vale sia verso i clienti, sia verso le discussioni tra di noi, colleghi, architetti, collaboratori, etc, ma, la necessità di farlo sempre, no, non la vediamo più. E quindi la possibilità di mixare lo spostamento fisico per incontrarsi e degli incontri diciamo più di routine realizzati in questo modo secondo me è un grande lascito sul quale siamo convinti di poter andare avanti per il futuro aspettandoci anche un miglioramento dei mezzi di comunicazione, di sharing, di condivisione dello schermo, di un’immagine, di una cosa. Ci crediamo molto e questo vorrà dire che ci sposteremo un po’ meno per lavoro definitivamente e che forse anche si farà un’alternanza di così detto smartworking e di lavoro nel luogo di incontro comune ma questa è una tendenza che già c’era in molte società più avanzate, aziende, intendo dire, di servizi un po’ più avanzate e contemporanee, la scrivania non c’era più se non per pochi, sale di riunioni informali dove potersi aggregare in incontri un po’ causali: chi viene dall’azienda quel giorno si ritrova lì magari con un cliente ed il giorno dopo lavora da casa, lavora da dove vuole. Allora poi bisogna inventarsi la postazione di lavoro da casa o dal proprio spazio privato perché deve essere protetto un po’, deve essere una specie di bolla, in po’ silenziosa, un po’isolata, etc etc. Però insomma io credo che quello che veramente rimarrà come grande lascito di questo periodo, al di là di aver capito la salubrità della città, la sostenibilità etc, è questo fatto che lavoreremo spostandoci di meno e quindi avremo questo mix di remoto ed incontro reale. Questo rimarrà come una bella accelerazione di una tendenza che era già iniziata.
Lodovico Marenco
Senti Benedetto, ti ringrazio moltissimo del tempo che mi hai dedicato e abbiamo toccato degli argomenti molto interessanti soprattutto mi ha fatto piacere parlare del Museo dell’Automobile e delle future evoluzioni per cui ti faccio e vi faccio un grosso in bocca al lupo per la realizzazione dei progetti che ci hai raccontato.