IL DIGITALE AL SERVIZIO DI CHI HA BISOGNO | Intervista a Anna Maria Siccardi
Buongiorno, siamo con Anna Siccardi, imprenditore digitale esperta del Terzo Settore.
Anna Maria Siccardi
Buongiorno, perfetto, mi riconosco in questa descrizione!
Lodovico Marenco
Perfetto Anna. Raccontaci un po’ della tua vita perché le tue origini di imprenditrice digitale affondano al tempo della fondazione di Bakeca e, da allora ad oggi, tante cose sono cambiate.
Anna Maria Siccardi
Sono cambiate, si. Forse a dirla tutta, ancora prima. Se devo riassumere un po’ il mio passato professionale io sono un Fisico mancato, a tutti gli effetti, perché ho un background scientifico. Mi sono laureata in fisica nel ’94 che è stato un anno horribilis per chi si laureava quell’anno. C’era stata da poco la Guerra del Golfo, c’era stata un’improvvisa contrazione anche occupazionale e, come tanti neo fisici di allora, mi sono ritrovata a trovare occupazione nel settore dell’informatica perché allora forse gli unici che avevano un po’ di competenze solide nello sviluppo del software e del coding erano o alcuni ingegneri o i fisici o quelle persone che avevano avuto un dropout scolastico ed erano degli auto didatta, gli “smanettoni” come si chiamano adesso, e sapevano connettere i sistemi e sviluppare codice.
Lodovico Marenco
Come arriviamo a Bakeca da questo percorso iniziale?
Anna Maria Siccardi
Eh, ci arriviamo con un percorso tortuoso perché io ho iniziato a lavorare come sviluppatrice, poi mi sono occupata un po’ di assicurazione e qualità, e poi, tra il ’96 ed il ’98 ha cominciato a propagarsi i siti web, lo sviluppo HTML, i primi servizi di e-commerce e noi che allora eravamo giovani, io come altri, siamo rimasti affascinati da questa opportunità che era sia tecnologica che economica perché c’è stata poi, ahimè, la bolla del 2000, però è vero che, in quegli anni, non c’erano quasi barriere all’ingresso. Se uno voleva tentare delle iniziative imprenditoriali in quel settore, con pochissimo capitale, potevi cominciare a fare delle cose importanti. Quindi io, con il mio compagno di allora ed alcuni amici abbiamo messo in piedi quelle che adesso si chiamano “start up” (allora non le chiamavamo nemmeno così). Eravamo dei disadattati sociali perché ci chiedevano “cosa fai” e non lo capiva nessuno; adesso, per lo meno, sono stati coniati dei termini in cui possiamo riconoscerci e quindi, dopo due, tre anni di esperienza nel settore dell’e-commerce o del web, un po’ come consulenti, un po’ come imprenditori, con il mio primo marito ed alcuni amici abbiamo fondato Bakeca. Lui è stato il fondatore, Paolo Geymonat, e poi Bakeca ha fatto il suo percorso, io ne sono azionista, e poi, da lì, sono rimasta in quel settore a cui mi sono appassionata, oggettivamente. quindi, non ho fatto il fisico ma non ho rimpianti!
Lodovico Marenco
So che fai parte del Club degli Investitori quindi hai una prepensione, diciamo, all’investimento in start up.
Anna Maria Siccardi
Si, io ho conosciuto il Presidente del Club degli Investitori credo 4,5 anni fa, se non ricordo male, e mi è piaciuta questa iniziativa, questo gruppo, perché avevo avuto anche delle soddisfazioni economiche quindi di investire in attività portate avanti da giovani che volevano provarci mi piaceva.
Mi piaceva l’idea di poter essere utile.
D’altra parte, chi come me ha fatto l’imprenditore perché ha incontrato persone che l’hanno stimolato a farlo e gli hanno dato fiducia, sa che questa cosa è importante, cioè quella alleanza intergenerazionale, diciamo, che si fa in primis anche per diversificare un po’ il proprio patrimonio però ha anche un valore importante per il nostro ecosistema quindi si, sono contenta di questa esperienza!
Lodovico Marenco
Adesso passo a chiederti delle attività che stai seguendo adesso con tanta passione che riguardano il Terzo Settore. La più importante è la Rete del Dono che in questo momento di pandemia si sta molto dando da fare per dare un aiuto a tutte le persone bisognose.
Anna Maria Siccardi
Si, Rete del Dono, la descrivo brevemente, è una piattaforma di crowdfunding di tipo donation cioè che raccoglie fondi esclusivamente sotto forma di donazioni, a favore di progetti che hanno una validità sociale. L’ho fondata con un’amica, Valeria Vitali, orma nel 2011, ed il nostro intento inizialmente era quello di provare a replicare in Italia dei modelli di piattaforme di matrice anglosassone, principalmente. Noi ci eravamo ispirati ad una grande piattaforma di raccolta fondi inglese che si chiama Just Giving. Avevamo visto che in Italia non c’era niente di simile o comunque di così penetrato, importante come la Just Giving in Inghilterra, e quindi abbiamo messo insieme le sue competenze di comunicazione nel terzo settore e le mie competenze nel digitale per far partire Rete del Dono ed è il progetto di cui mi occupo al 60% del mio tempo, forse anche qualcosa di più, e dove sono proprio anche operativa. In questa situazione, come hai detto giustamente tu, ci siamo ritrovati ad essere un prodotto, un servizio che era proprio quello che serviva perché ci ha permesso di andare a rispondere alle esigenze delle singole comunità del territorio. Ciascuna adesso ha la sua emergenza perché l’emergenza Covid, a differenza di altre tragedie che abbiamo avuto sul nostro territorio, i terremoti, le alluvioni che erano situazioni gravissime che colpivano un territorio in particolare e quindi tutti gli altri territori si attivavano con iniziative di solidarietà, donazioni di denaro ma non solo, a supporto di quel territorio (alluvione in Sardegna, terremoto in Emilia, terremoto di Amatrice, hanno visto una grande azione solidale a supporto della popolazione colpita di quel territorio lì), qui abbiamo un’emergenza che si è spalmata su tutto il territorio quindi ogni comunità, ogni territorio, ha la sua emergenza da gestire.
Infatti noi adesso, nel giro di un mese, ci siamo ritrovati con, ormai, forse circa un centinaio di progetti di raccolta fondi aperti da enti no profit, ospedali, comuni, addirittura, di alcuni territori, principalmente per far fronte all’emergenza sanitaria ma stanno cominciando ad arrivare anche tanti progetti di raccolta fondi che devono far fronte ad altre emergenze che stanno emergendo adesso: l’emergenza alimentare, il supporto alle famiglie che hanno dei disabili e poi tutti gli altri enti del terzo settore che si occupano di progetti di utilità sociale a 360 gradi che cominciano ad avere problemi di sopravvivenza per carenza di risorse economiche.
Lodovico Marenco
Ecco, cosa vuol dire aprire, per chi non lo conosce o non lo sa, un progetto con Rete del Dono?
Anna Maria Siccardi
Diciamo che Rete del Dono, essendo una piattaforma di crowdfunding, di fatto è una piattaforma web che permette di fare una raccolta fondi online promuovendo un progetto di utilità sociale che ha un fabbisogno economico preciso per poter essere realizzato. Per dirti, noi, tradizionalmente, prima di questa emergenza, le campagne di raccolta fondi che venivano aperte su Rete del Dono potevano essere, non so, la scuola che doveva comprare dei libri per la propria biblioteca, l’ospedale che doveva comprare un macchinario diagnostico, il finanziamento di una borsa di studio di un ricercatore ed anche progetti di matrice culturale come il restauro di un’opera d’arte, cose di questo genere. Adesso i tipi di raccolta fondi sono tipicamente a supporto degli ospedali che devono acquistare del materiale di professione per il proprio personale enti no profit distribuiti sul territorio che devono acquistare beni di prima necessità per le famiglie che non riescono più a fare la spesa, oppure enti no profit che si sono sempre occupati di famiglie fragili, a vario titolo e per vari motivi, che hanno bisogno di incrementare la loro attività in questo periodo in un momento però di scarsità di risorse economiche o di difficoltà a reperire i volontari disponibili. Quindi, in generale, si può dire che tutto quello che è Terzo Settore e Sanità Pubblica, in questo momento, ha bisogno di più risorse in un momento di carenza di risorse e quindi la prospettiva è far si che le realtà come le nostre, noi ma non solo, diventiamo un po’ il perno di questa ricerca di risorse.
Lodovico Marenco
Certo, senti una cosa Anna. Volevo approfittare della tua esperienza e competenza anche per fare un po’di chiarezza. Gli italiani, quando succedono degli eventi catastrofici, o nel caso di Covid 19, hanno dimostrato un grandissimo cuore e non lesinano né l’impegno economico né l’istinto di donare. L’impressione è sempre capire che ci sia della trasparenza. Possiamo fare chiarezza su questo perché se ne leggono e se ne sentono di tutti i colori, di soldi che vengono versati di cui non si sa poi che fine fanno, facilità d’aprire sottoscrizioni mettendo dei conti correnti di cui non si sa chi è il beneficiario e chi andrà ad incassare. Quindi se possiamo descrivere nel dettaglio, ma in modo chiaro e lucido, come funziona il processo: quello della donazione vai sulla piattaforma, versi i soldi ed è facile, ma che cosa succede dopo?
Anna Maria Siccardi
Allora, quello che succede dopo dipende dal meccanismo di funzionamento della piattaforma. Qui sfondi un po’ una porta aperta perché in questa emergenza, sul fronte della donazione, in modo iperbolico è successo quello che succede sempre; cioè, molte persone, che magari non sono abituate a fare delle donazioni con continuità ed è una cosa che fanno ma solo quando sono fortemente sollecitate da una situazione così grave come questa e così sotto gli occhi di tutti, hanno manifestato subito, come giustamente dici tu, un grande senso solidale, una grande propensione a voler essere d’aiuto subito e ad attivarsi sul web, soprattutto, perché in questo momento in cui la gente non può uscire di casa, il bollettino postale, piuttosto che andare in banca a fare un bonifico se uno non era abituato a farlo con l’home banking, era diventato complicato e quindi molte persone non avvezze allo strumento ed alla transazione online l’hanno fatta, magari per la prima volta.
E sono proprio queste persone che sono più, come dire, fragili dal punto di vista di incorrere poi in meccanismi non tanto trasparenti perché non sono abituate poi alle policy: cioè, chi è abituato a fare una transazione online gli viene istintivo: la prima volta che atterra su un sito web che non ha mai visto, va a veder in basso se ci sono dei credits, chi è il proprietario di quella piattaforma, se non ha mai messo la carta di credito su quel sito web cerca di capire come funziona il pagamento, se è in grado poi di avere indietro una ricevuta, quali sono i termini di consegna se è un e-commerce, etc.
Chi magari queste cose non le ha mai fatte e le fa sull’onda dell’emozione, questo controlli non li fa.
Quindi ci sono stati sicuramente anche dei fenomeni di tentativo di truffa, alcuni forse anche andati a buon fine. Rete del Dono come, io mi sento di dire, pressochè tutte le piattaforme italiane che sono nate per fare racconta fondi in Italia, si sono strutturate per essere compatibili con la normativa fiscale italiana e con l’impianto giuridico italiano in termini di donazione perché , che cos’è una donazione e come deve essere fatta, che sia verso i privati o verso un ente pubblico o no profit, in Italia c’è una normativa anche abbastanza semplice che dice come devono essere fatte le cose. Quindi, la verità è che le più grandi piattaforme di crowdfunding italiane hanno aperto delle campagne di raccolta fondi dove il beneficiario della raccolta fondi, che fosse un ospedale, un comune, una onlus, aveva approvato questa campagna ed anzi era stato lui a promuoverla, a pubblicare i contenuti sulla piattaforma e a lanciare un appello perché la gente donasse.
La piattafrma GoFundMe che è quella che ad oggi ha oggettivamente raccolto di più, è una piattaforma americana il cui funzionamento è stato pensato per lavorare soprattutto nei paesi di matrice anglosassone dal punto di vista giuridico quindi è successo che le singole persone potevano attivare campagne di raccolta fondi senza che l’ente beneficiario lo sapesse. Quindi ci sono state persone che, in totale buonafede, hanno aperto la campagna di raccolta fondi, per dire, “voglio raccogliere fondi per il Niguarda”, “voglio raccogliere fondi per il Regina Margherita di Torino”, faccio degli esempi a caso, ma magari questi ospedali non lo sapevano nemmeno e adesso questi fondi sono lì in attesa di capire come fare a farli arrivare a destinazione compatibilmente con le leggi italiane e col fatto che chi dona ha diritto a una detrazione fiscale anche importante.
Lodovico Marenco
Anna scusa, di quanto?
Anna Maria Siccardi
Il Decreto Legislativo del Governo del 17 Marzo, se non ricordo male, ha dedicato un paragrafo alle donazioni finalizzate a contrastare l’emergenza Covid ed ha stabilito che anche gli enti pubblici e territoriali potevano raccogliere fondi ed i donatori, se sono persone fisiche o enti non commerciali, hanno diritto a una detrazione del 30% sull’importo donato fino a un massimo di 30.000 euro. Mentre le aziende hanno diritto a una deduzione totale, quindi se uno fa una donazione importante si parla anche di una cifra abbastanza importante.
Lodovico Marenco
Anna, vorrei tornare sul meccanismo che stavi raccontando. Cioè, io oggi con il mio conto corrente posso aprire una sottoscrizione che dedico ad un’opera meritevole o ad un ospedale e, di fatto, chi versa i soldi per la sottoscrizione che ho lanciato, li versa sul mio conto corrente.
Anna Maria Siccardi
Si, potresti farlo.
Lodovico Marenco
Esatto. Beh, questo necessiterebbe probabilmente di un regolamento un po’ più stringente.
Anna Maria Siccardi
Diciamo che il fatto è questo: se tu fai questa cosa, fai una cosa che non è vietata ma il tema è che chi dona sul tuo conto corrente poi non può portare in detrazione la donazione perché i fondi sono atterrati sul tuo conto corrente e non sul conto corrente del beneficiario e poi, nel momento in cui tu ti ritrovi con questa somma, a doverla devolvere a una onlus o a un ente codificato come del Terso Settore, lo puoi fare . Se invece il tuo intento era di donarlo ad un ente pubblico, un comune o a n ente territoriale qualche problema c’è perché questi enti, relativamente all’emergenza Covid possono prendere delle donazioni ma devono essersi attrezzati a monte per farlo quindi devono avere un conto dedicato, se la cifra è molto importante la devono approvare, hanno l’esigenza di avere la tracciabilità di tutte le persone che hanno donato perché hanno un obbligo di legge di rendicontare questa attività e quindi le campagne di raccolta fondi che sono partite non tenendo di queste cose adesso hanno un po’ un punto interrogativo
Lodovico Marenco
E poi società del Terso Settore italiane come vi state comportando? Avete sollevato il problema presso le autorità, cioè avete evidenziato questo tipo di problemi oppure no?
Anna Maria Siccardi
No, diciamo, non ne abbiamo avuto bisogno perché ASSIF che è un’associane che raggruppa i fundraiser professionisti italiani si è mossa ed ha costruito una task force, una delle tante che stanno nascendo in queste settimane, per, a posteriori, andare ad aiutare poi gli enti che dovrebbero essere beneficiari di queste raccolte fondi ed individui che si ritrovano ad aver raccolto questi fondi a fare in modo che i fondi vadano dove devono andare nel modo più corretto possibile. Quindi diciamo che, oggettivamente, si sta cercando di andare a chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi, però comunque ci sono dei professionisti che si sono messi in gioco per evitare quello che è successo in passato su altre raccolte fondi dove poi, per anni, i fondi sono rimasti parcheggiati sui conti correnti perché non si era progettato fino in fondo come dovevano essere fatte le cose.
Lodovico Marenco
Certo, senti tu hai già delle stime, un’impressione di cosa si è raccolto e quanto il terzo settore abbia fatto o è ancora presto per le conclusioni?
Anna Maria Siccardi
Sicuramente le raccolte fondi stanno andando avanti anche perché gli enti beneficiari le stanno ancora sollecitando e l’esigenza di reperire risorse economiche e non solo è ancora forte e, secondo me, nei prossimi mesi, continuerà ad essere forte. Quello che ti posso dire è che a un mesetto dall’inizio dell’emergenza, se andiamo a collocare l’inizio dell’emergenza a fine febbraio, dopo una ventina di giorni erano già stati raccolti, per quello che poteva essere tracciato, circa 250 milioni di euro in tutta Italia a favore soprattutto degli ospedali e delle strutture sanitarie. Adesso sono stati superati 400 milioni, per lo meno di ciò che è visibile, tracciabile perché i beneficiari ne hanno dato comunicazione o le raccolte fondi sono visibili sulle varie piattaforme, considerando anche le donazioni dirette fatte anche dalle grandi aziende direttamente alle fondazioni piuttosto che direttamente agli ospedali. Io ti posso dire quello che è il nostro osservatorio. Rete del Dono finora ha raccolto un po’ più di un milione e settecento mila euro: per quello che è il ostro osservatorio noi abbiamo circa un 85% d raccolta fondi che sta andando verso strutture sanitarie ed il restante 15% sono raccolte fondi finalizzate all’emergenza alimentare. Comincia ad esseri qualche raccolta fondi anche su emergenze che non sono ancora proprio, non dico di dominio pubblico, però non stanno ancora interessando moltissimo tipo l’emergenza scolastica: ci sono tante scuole che hanno bisogno di fondi per poter dotare chi non ha la possibilità di avere un pc piuttosto che un tablet per seguire le lezioni online, ci sono scuole private che stanno intravedendo un crollo delle rette perché ci sono famiglie che non possono più far fronte alla retta scolastica e che quindi stanno pensando di fare dei crowdfunding per aiutare le famiglie che probabilmente l’anno prossimo avranno difficoltà a pagare queste rette, e quindi sono crowdfunding, diciamo, di scuole private, e via via che passa il tempo gli effetti del lockdown si scaricano non solo sulla sanità ma anche su altri settori.
Lodovico Marenco
Certo, beh sono cifre molto importanti quelle che citi. Io devo dire che sono rimasto molto colpito da come le grandi famiglie rappresentate dai patriarchi, dall’imprenditore, penso a nomi come Lavazza a Torino, piuttosto che casa Agnelli o Elkann, per arrivare a Milano a Leonardo Del Vecchio, Giorgio Armani, lo stesso Silvio Berlusconi, ma non voglio dimenticare nessuno, che a fianco di tante persone che hanno versato per quel che potevano o si sentivano, comunque le presenze delle grandi aziende sono state importanti e anche molto rapide e direi anche ben organizzate. Si sono appoggiate ad organizzazioni o interne o esterne o alle fondazioni dei giornali: Specchio dei Tempi per Torino, la Fondazione del Corriere della Sera a Milano ed in ogni grossa grande città c’era una fondazione legata a un giornale.
Anna Maria Siccardi
Si. Io ti posso raccontare una cosa molto bella che noi abbiamo visto accadere su Rete del Dono e che va, se vogliamo, ancora oltra alla donazione diretta da parte della grande famiglia imprenditoriale che, come dicevi tu, sono state donazioni importanti, tempestive, arrivate subito a destinazione e quindi ben venga, ma molte aziende sono andate oltre e cioè hanno fatto quello che si chiama Personal Fundraising Aziendale, cioè l’azienda, oltre a fare una donazione, ha aperto una propria campagna di raccolta fondi stimolando i propri dipendenti, il proprio network a donare e quindi, non solo hanno donato, ma hanno fatto da catalizzatori per aggregare ulteriori donazioni e su Rete del Dono abbiamo molte aziende che s sono attivate in questo senso. Faccio due o tre nomi che mi vengono in mente adesso ma dimentico sicuramente qualcuno: c’è stata Borsa Italiana, la Fondazione Mediolanum, Maison du Monde, molte aziende per la Croce Rossa, ma anche per enti più piccoli perché ci sono state aziende che hanno scelto di fare delle attività più vicine ai territori, soprattutto ai territori più colpiti, e questa è una cosa che ci ha colpito favorevolmente perché il Personal Fundraising Aziendale è qualcosa che implica, comunque, non solo fare una donazione ma anche organizzare una campagna di raccolta fondi, mettersi in gioco, dedicare una persona a seguirla quindi, risorse non solo economiche ma anche di tempo e di energie e il Personal Fundraising Aziendale è qualcosa di articolato che va un po’ studiato, bisogna conoscerlo, bisogna mettersi in gioco quindi vuol dire che si è andati oltre la risposta esclusivamente economica. C’è proprio anche l’esigenza di far vedere, soprattutto ai medici, agli infermieri, al personale sanitario che gli si è vicino, il senso della solidarietà che va oltre il supporto economico.
Lodovico Marenco
Senti Anna, volevo poi parlarti di prospettive e con questa tua risposta mi hai anticipato. Ma prima di arrivare alla domanda ovvero se l’emergenza e questo grosso cuore degli italiani può essere canalizzato proprio con le aziende, in futuro per rendere la donazione qualcosa di stabile ed adottare, per esempio, dei progetti che citavi prima: le borse di studio, una start up a fini del terzo settore o innovativa per la salute o per altri settori, insomma rendere stabile un qualcosa che oggi è emergenziale. Penso che questo debba essere il vostro obiettivo e prospettiva per il futuro.
Anna Maria Siccardi
Assolutamente, è proprio così. Come tu sicuramente saprai ci sono diverse aziende già anche in Italia che so sono dotate da tempo di programmi di CSR, Responsabilità Sociale di Impresa, soprattutto quelle più strutturate con dei margini che gli permettono anche di finanziare progetti di questo genere con continuità e quindi le aziende che già da alcuni anni si dedicano a mappare il territorio in cui operano, vedere quali sono le esigenze a cui possono rispondere, sposano dei progetti di utilità sociale e nel tempo li supportano con delle donazioni, con il volontariato di impresa che è anche una risorsa importante, con il payroll giving e quindi fanno una scelta importante perché, appunto, non si limitano alla donazione spot, magari sollecitata sotto Natale, per dire, ma sposano proprio un progetto, ne diventano i partner a tutti gli effetti e lo sostengono nel tempo entrando anche nel merito di quello che è la valutazione dell’impatto. Questa buona pratica è veramente importante che venga messa a sistema e non sia solo un’attività particolarmente virtuosa, di aziende particolarmente evolute e virtuose ma deve essere qualcosa che, se viene messo a sistema e viene promosso ed incentivato può dare un contributo importantissimo nei prossimi mesi e forse anche nei prossimi anni per aiutare il Paese a venirne fuori.
Lodovico Marenco
Ok. E chi vuole aiutare il Paese, oltre che con le donazioni di denaro, anche con della merce o prodotti che ha o adottare altre formule, lo può fare attraverso le vostre piattaforme o voi vi occupate solo di crowdfunding e quindi di denaro e basta?
Anna Maria Siccardi
Noi ci occupiamo solo di risorse economiche, quindi di crowdfunding, raccolta di donazioni. Onestamente, devo ammettere che non sono così informata sull’esistenza di piattaforme che permettono di devolvere beni. Sicuramente ci sono delle grandi piattaforme che permettono di mettere all’asta dei beni a fronte di raccolte fondi: c’è eBay che ha una sezione dedicata al no profit, c’è Charity Stars che permette di fare delle aste. Qualcosa di messo a sistema non mi risulta, sinceramente, anche se so che questo decreto ha previsto e regolamentato anche la donazione di beni agli ospedali ed agli enti no profit. In tutta onestà non saprei dirti molto di più perché non è il mio campo e quindi so solo che esiste ma per le normative che lo regolano, in tutta onestà, rischierei di dire delle sciocchezze. Però so che si può fare.
Lodovico Marenco
Grazie. Senti, ancora una cosa. Io mi immagino, citando gli imprenditori di prima e mi viene in mente primo fra tutti Giorgio Armani che ha dimostrato la coerenza che lo contraddistingue e che ha innanzitutto annullato la sfilata fisica e l’ha realizzata filmandola e poi distribuendo i contenuti; poi ha via via adottato forme di tutela per i propri dipendenti e di rispetto anche per i propri clienti, si è impegnato in donazioni, ha tutelato i propri dipendenti in qualsiasi modo. Io penso, non ne ho idea perché non ho relazioni con il gruppo Armani, ma mi immagino che, se l’onda è questa, quando riaprirà, potrà essere il prototipo di azienda che, mi posso immaginare, va a destinare una parte degli incassi per attività o di sostegno al Covid-19 o per future iniziative tracciando, se vuoi in parallelo a quello che dicevamo prima, e rendendo strutturale il concetto di dare agli altri perché si ha ricevuto noi già tanto. Tu cosa ne pensi?
Anna Maria Siccardi
È sicuramente così. Ti dico, noi come Rete del Dono, da diversi anni, quello che cerchiamo di fare, oltre a mettere a disposizione la piattaforma tecnologica, è dare anche consulenza, perché è inevitabile, agli enti che utilizzano lo strumento perché bisogna poi mettere in atto tutta una serie di azioni di comunicazione che poggiano soprattutto sul web e sulla comunicazione digitale dove il Terzo Settore è ancora un po’ fragile nel nostro paese in termini di competenze. Non dico a 360 gradi, però c’è ancora un po’ questo digital divide. Però, quello che noi cerchiamo di fare, è anche di promuovere con delle ricerche, con delle attività di formazione, quello che noi chiamiamo il modello di una donazione consapevole. Questa cosa, se è importante per il cittadino, per il singolo, è ancora più importante per le imprese che vogliono avere questo ruolo perché quello che secondo noi è importante fare, oltre a destinare delle risorse economiche, è farlo pretendendo di avere poi, nel tempo, un impatto misurabile e duraturo e quindi la partnership tra il profit ed il no profit è importante anche per questo perché l’impresa può aiutare il Terzo Settore, in sinergia, ad individuare scientificamente dove c’è il bisogno, quali risorse servono e poi andare a vedere se le risorse dedicate a quel progetto per un tot di tempo hanno effettivamente avuto un impatto, stanno effettivamente risolvendo un problema oppure se stanno tamponando un’emergenza per arrivare poi anche a calibrare meglio possibile gli interventi quindi la partnership profit-no profit ha una valenza di trasferimento di risorse ma ha anche una valenza di approccio culturale alle cose. Quindi l’appello che noi facciamo sempre sia ai cittadini ma anche alle imprese è “doniamo ma con consapevolezza, domandiamoci e pretendiamo di sapere i nostri fondi a cosa servono e pretendiamo di sapere a posteriori a cosa sono serviti”. Ma non banalmente alla paura che non siano stati spesi bene perché dietro ci sia una truffa. No, qui il discorso da fare è un po’ più alto: pretendiamo he le nostre donazioni ed il trasferimento delle risorse vada nella direzione di cambiare le cose in meglio, non di fare dell’elemosina, questo è il concetto.
Lodovico Marenco
Si certo, assolutamente. Senti, che cosa ti porti a casa da questa esperienza di Covid-19?
Anna Maria Siccardi
Domandone. Ma, allora, facendo un discorso un po’ più ampio visto che il mio lavoro ed il mio impegno sono soprattutto a fianco di aziende ed imprenditori che lavorano nel digitale, io oggi mi ritrovo un po’ a dirmi che questa emergenza ha messo in evidenza ancora un’arretratezza in quello che è lo sfruttamento degli strumenti digitali in questo paese. Diciamo che siamo stati, ad esempio, tutti positivamente impressionati da come la scuola ha risposto subito rapidamente con un’offerta online per andare a sostituire l’impossibilità di ritrovarsi nelle classi. E questo è stato sicuramente un fatto positivo però, prendendo ad esempio quel settore, questa emergenza ha anche evidenziato come la nostra scuola questi strumenti non sapesse ancora usarli e così anche in altri settori. Ci siamo ritrovati in molti a fare smartworking e c’è stato un improvviso abbattimento delle barriere psicologiche che impedivano a tante aziende di sfruttare di più e meglio gli strumenti di video conferenza, gli strumenti che permettono di lavorare da casa che se, messi a sistema, ovviamente consentirebbero di conciliare meglio il tempo dedicato alla famiglia e dedicato al lavoro, permetterebbero di ridurre gli spostamenti nelle grandi città e su questo non c’è dubbio. Quindi sicuramente tutti hanno capito come gli strumenti digitali possono permettere di fare meglio le cose però si è evidenziato anche quanto siamo impreparati a farlo. Io mi porto a casa questo. Quindi, quello che auspico, è che, una volta che questo clima emergenziale si abbasserà un pochino, ci sia l’opportunità di andare a studiare bene dove le cose non hanno funzionato al meglio ed avrebbero potuto funzionare meglio se il digitale fosse stato, come dire, usato in modo più consapevole e più massivo, per andare a fare quello che in questi anni non è stato fatto, partendo dall’Amministrazione Pubblica.
Per quello che riguarda anche le aziende del digitale, quello che sto vedendo, ci sono luci ed ombre quindi bisognerà, tra qualche mese, andare a tirare le fila e vedere che cosa è successo.
Ci sono state aziende che si sono ritrovate ad avere improvvisamente una platea più ampia di utenti per il proprio servizio e per il proprio prodotto: pensiamo all’e-commerce, per esempio, oppure alla Rete del Dono, oppure a tanti altri settori che adesso magari non mi vengono in mente, e sono riuscite a rispondere a questa esigenza. Quindi hanno visto il loro modello di business validato per l’ennesima volta, se ancora non lo era stato, e si sono ritrovate ad avere una platea improvvisa di nuovi utilizzatori e quindi sicuramente, mi vien da dire, avranno beneficiato nel breve termine ed anche nel medio termine di quello che è successo, come è giusto che sia perché avevano un servizio, un prodotto, che rispondeva ad un’esigenza e quindi sono riusciti a soddisfare questa esigenza.
Altre aziende si sono ritrovate in questa situazione però magari avrebbero dovuto scalare improvvisamente e non ce l’’hanno fatta perché non erano strutturare per passare da cento utilizzatori al giorno, adesso dico dei numeri a caso, a dieci mila. Quindi non solo non sono riusciti a “sfruttare”, nel senso positivo del termine, questa emergenza e a rispondere ad un bisogno, ma si sono ritrovate in difficoltà.
E poi ci sono altre realtà che avevano un prodotto o un servizio che, anche se poggiava sul digitale però, vuoi la chiusura delle altre attività, vuoi il fatto che le persone non potessero uscire di casa, ne ha completamente svuotata l’utilità e magari si sono ritrovate che dovevano fare dei test di mercato e non li hanno potuti fare, o li hanno fatti in momenti in cui non era assolutamente attendibile quello che stava succedendo. Allora per tutto quello che è il digitale io dico luci ed ombre. Bisognerà, tra cinque o sei mesi almeno, andare a tirare le fila e capire quello che l’emergenza Covid-19 avrà comportato per tutte le aziende che poggiano sulla tecnologia digitale, sulle app, sul web per capire cosa si consoliderà e cosa no. Inizialmente, le prime settimane i toni di tutti, me compresa ammetto, erano che nella tragedia, l’unica cosa positiva che vedevamo era che ok, finalmente tutti si accorgeranno che il digitale è amico e che bisogna sfruttarlo di più e meglio. Bisognerà analizzare poi i numeri con calma.
Lodovico Marenco
Concordo con te. Devo dirti che lavorando da vent’anni nell’e-commerce mi sono spostato già da tempo, anzi, ho affiancato all’attività di consulenza sull’e-commerce la formazione perché abbiamo un enorme gap culturale. Al di là del gap in termini reali rispetto agli altri paesi: solo il 15% delle aziende italiane hanno un sito business to business contro il 60% dei tedeschi, il che vuol dire che oggi quattro aziende tedesche contro una italiana possono vendere. Ma il vero gap secondo me è prettamente di natura culturale. Secondo me, il fatto che tutti lo usano ed anche l’aver definito, io lo cito sempre come esempio, la spesa dal verduriere fatta con WhatsApp, di fatto è un acquisto a distanza: se tu paghi al verduriere con pagamento in contrassegno quindi, da un punto di vista giuridico quello è un contratto di vendita a distanza. Quindi tutti hanno imparato che cos’è. Sono sicuro che saranno necessari grossi investimenti, sfumature etc. Il dato vero, che hai citato tu e che a me ha impressionato molto, è che abbiamo avuto un crash del sito dell’INPS, che dovrebbe essere la struttura importante, e dall’altra abbiamo le TELCO che purtroppo sono quasi tutte straniere, una dorsale logistica ed una piattaforma di e-commerce come Amazon che non hanno praticamente accusato un fermo. Al limite, in qualche momento, la banda era un po’ più appesantita però, soprattutto noi che viviamo nelle grandi città e che abbiamo la Fibra, nessun tipo di problema.
Anna Maria Siccardi
È così, è così. E infatti, guarda mi hai rubato le parole di bocca, perché so che magari faccio arrabbiare un po’ di persone se dico questa cosa ma non sono l’unica a pensarlo, l’arretratezza su questi temi del nostro Paese a mio avviso non è un’arretratezza sul lato della domanda di questi servizi o di questi prodotti perché chi continua a dire che l’e-commerce non è esploso come in Germania o come in UK, che la donazione online è ancora marginale perché gli italiani non mettono la carta di credito, questo è a mio avviso una foglia di fico. Cioè l’arretratezza è sul lato dell’offerta, non sul lato della domanda e questa emergenza lo ha dimostrato. L’esplosione delle donazioni online ha dimostrato che gli italiani, se hanno l’opportunità di donare online lo fanno, se hanno l’opportunità di comprare qualcosa online, lo fanno. È l’infrastruttura che c’è dietro che non è adeguata, in molti casi, non tutti, per carità. Quindi diciamo che l’arretratezza è un’arretratezza sul lato dell’offerta e, in generale, sono d’accordo con quello che diceva Quintarelli anni fa e secondo me è ancora valido, in alcuni settori è un fallimento anche istituzionale.
Lodovico Marenco
Assolutamente. Anzi, direi che l’esempio sotto gli occhi di tutti è la sanità. Cito sempre questo esempio: tu prima dovevi, se eri un professionista o un imprenditore perdere il tuo tempo, se eri un dipendente chiedere il permesso, per andare dal medico della mutua per farti fare la prescrizione. Oggi lo fai tutto via mail o via piattaforme quindi il gap è prettamente culturale e una volontà politica o diciamo la burocrazia che frena perché la tecnologia lo permetteva già. Anzi, visto che entrambi lavoriamo nel mondo digitale, sappiamo benissimo quanto è facile per la sanità, per una struttura sanitaria nazionale, creare un sito per la gestione delle ricette. La farmacia si collega, scarica la ricetta del medico, sappiamo cosa è stato venduto, quanti medicinali vengono suggeriti, etc. Sapremmo tutto e oggi invece, probabilmente o per inerzia o peggio ancora, se vogliamo pensare, per mero calcolo, viene reso poco trasparente quello che sarebbe fattibile non oggi ma che poteva già essere fattibile anni fa.
Anna Maria Siccardi
Certo. Infatti, l’emergenza ha dimostrato come alcuni strumenti che siamo stati restii per decenni ad utilizzare con le scuse più disparate, nell’impossibilità di fare qualsiasi altra cosa, improvvisamente hanno funzionato. Quindi li stiamo usando male, a volte anche, secondo me, non del tutto conformemente a quella che è la legislazione in termini di privacy, cosa su cui io, come cittadina, sarei anche disposta a metterci una pietra sopra perché, dico, se non facevamo così…. però ragazzi adesso mettiamoci la testa e facciamole bene perché abbiamo dimostrato, ed abbiamo sotto gli occhi di tutti, che gli italiani gli strumenti li usano, se ci sono.