Le organizzazioni del commercio elettronico di dieci paesi si uniscono contro la direttiva sui “Diritti dei consumatori” per le conseguenze negative che potrebbe avere sullo sviluppo e sull’avvenire dell’e-commerce in Europa.
Succede in parallelo allo svolgimento del G8 a Parigi, mentre i rappresentanti del commercio elettronico europei si sono riuniti a Barcellona per la 3° edizione del Global E-commerce Summit. In questa occasione, 10 associazioni nazionali ed europee, tra cui il Consorzio Netcomm, hanno firmato una dichiarazione comune indirizzata al Parlamento Europeo per esprimere il proprio dissenso verso la direttiva ‘Diritti dei consumatori’ approvata da Bruxelles lo scorso 24 marzo e destinata a modificare la direttiva Ue n.31 del 2000 che tratta proprio la disciplina dell’e-commerce.
Nel dettaglio, le associazioni firmatarie si oppongono agli articoli 16, 17 e 22 bis della proposta di direttiva. L’effetto di questi tre articoli porterà ad esempio una società ad affrontare l’obbligo di pagamento per la raccolta delle merci utilizzate dai consumatori per 28 giorni e a rimborsare la totalità dei costi al consumatore ancor prima che possano essere controllati eventuali danni o l’effettivo uso dei prodotti. Inoltre, a seguito dell’articolo 22 bis, le aziende potrebbero essere obbligate a un contratto fuori dal proprio paese vedendosi così negata la libertà di contrattuale.
Come ha riportato il Corriere, quello che si teme è innanzitutto l’obbligo di consegnare le merci in tutti i 27 Paesi dell’Unione europea, con incrementi di costi dovuti ai trasporti, all’obbligo di gestire 7 valute differenti e 25 lingue diverse. Poi vi è la modifica del diritto di recesso. La nuova direttiva infatti introdurrebbe un ampliamento considerevole dei tempi per effettuare il reso, consentendo di effettuare la notifica entro 14 giorni e di effettuare la restituzione entro i successivi 14. In totale quindi si quadruplica o triplica, a seconda dei Paesi, il tempo per restituire il prodotto, lasciando 28 giorni per esercitare questo diritto. Inoltre per gli ordini superiori a 40 euro, l’azienda sarà tenuta a rimborsare anche le spese di reso.
“Questi emendamenti provenienti dall’Europa”, come ha spiegato Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, “sono i più devastanti mai proposti in materia di commercio elettronico. Oltre a non essere necessari, genererebbero un incremento dei costi che ricadrebbe inesorabilmente su un peggioramento dei prezzi per i consumatori”.
Tali misure, oltre ad essere in contrasto con gli interessi dei consumatori, avendo un impatto diretto sul prezzo dei prodotti e sulle scelte di consumo, metterebbero a rischio la situazione finanziaria di molte aziende in Europa, soprattutto le piccole e medie imprese che non potrebbero sostenere oneri così elevati. Tutto questo accadrebbe poi in un momento molto delicato in cui c’è bisogno più che mai di una grande vitalità imprenditoriale per poter uscire dalla crisi. “In Italia, poi, la gravità sarebbe ancora più evidente – continua Roberto Liscia – se si pensa che solo da poco tempo si sta recuperando il terreno perduto e mai come oggi si respira un fermento imprenditoriale che non può fare che bene al settore e all’intero sistema Paese”.
Le associazioni, che rappresentano più del 50% della totalità dell‘e-commerce in Europa, chiedono un approccio più equilibrato nell’ambito della direttiva che tenga conto allo stesso modo sia dell’esigenza di tutelare i consumatori, sia dell’interesse delle aziende del settore. Si appellano alle istituzioni europee augurandosi appunto che venga accolto il riesame di queste misure, la cui conformità con i principi del diritto comunitario risulta comunque ancora incerta.