Sulla definizione di Native Advertising non tutti sono concordi: eppure questa espressione si è imposta negli ultimi tempi come nuovo trend che caratterizzerà la pubblicità online nel 2013. Ma che cos’è il native advertising e come funziona?
E’ evidente a tutti gli esperti e operatori nel settore web marketing che la pubblicità online stia attraversando un periodo di profondo e rivoluzionario cambiamento: appare chiaro che il formato-banner classico non funziona più molto bene, sia dal punto di vista strettamente numerico (difficoltà di visualizzazione, crollo del click-through, problemi per il mobile), sia dal punto di vista concettuale perché, come spiegava Jakob Nielsen, il display advertising cerca di importare su un mezzo interattivo, il web, uno strumento top-down tipico della pubblicità offline.
Il native advertising, dunque, sembra rappresentare il futuro della pubblicità online, poiché esso rappresenta un tipo di pubblicità “integrata” in contenuti di alta qualità che non dovrebbe risultare invasiva e, dunque, non dovrebbe disturbare l’utente.
Secondo la definizione di Dan Greenberg, CEO di Sharethrough e uno dei primi a utilizzare questo termine, il native advertising sarebbe “un tipo di media integrato nel design e dove gli annunci pubblicitari sono parte del contenuto”, mentre per Ian Schafer, CEO di Deep Focus, lo descrive semplicemente come una nuova versione degli advertorial: “è pubblicità che sfrutta una piattaforma nel modo in cui questa viene usata dagli utenti”.
La Native Advertising spazia insomma dai pubbliredazionali inseriti in un sito web, alle Sponsored Stories e ai Promoted Tweet presenti all’interno dei 2 più noti social network, fino alle photogallery o ai video nei quali il brand fa capolino.
Il native advertising è contenuto sponsorizzato promosso e visualizzato in una forma che non “spezzi” la user experience tipica del sito che si sta consultando (una delle cose più fastidiose della pubblicità classica), come fanno invece i banner sempre più grandi di dimensioni e formato e sempre più invasivi per l’utente.
Dunque, invece di un’immagine con un claim, avremo un video o un articolo promozionale: invece di un banner in Flash che spara, un type-in captcha. Dal punto di vista dello scopo, in luogo di attirare semplicemente l’attenzione (e possibilmente i click) di un utente, il native advertising vuole creare engagement.
Un recente studio condotto da Solve Media ha messo degli interessanti dati riguardanti il futuro del Native Advertising:
- verranno investiti 3 miliardi di dollari in Native Advertising entro il 2016
- il 70% dei creativi afferma che la UX è la cosa più importante nella Native Advertising
- il 14,3% degli editori afferma che sta prendendo in considerazione la Native Advertising
- il 57% degli investitori privati afferma di essere propenso ad investire in Native Advertising
- il 59% dei media buyer afferma che questo genere di annunci pubblicitari è “molto importante”
- il 49% dei media buyer afferma che di voler far uso di Native Advertising
Sembrerebbe, dunque, che questa modalità pubblicitaria vada incontro al favore degli utenti, ma non bisogna generalizzare: altri studi hanno messo in luce che questa tipologia di promozione viene percepita da molti autenti come “pubblicità occulta” dunque ingannevole e fuorviante.