La passione per il lusso, in Cina, non conosce eguali e ha determinato – negli ultimi anni – la nascita e affermazione di una nuova figura professionale, i personal shopper, che in Cina prendono il nome di daigou (“comprare per conto di terzi”). Gli consulenti dello shopping fanno acquisti online, spesso alla ricerca di prodotti esteri e si occupano principalmente del settore lusso.

Secondo l’indagine del China e-Commerce research centre, dal 2009 i personal shopper sono cresciuti del 19% e solo nel 2013 hanno generato un giro d’affari pari a 74 miliardi di yuan (quasi 9 miliardi di euro). Anche perché il 60% dei daigou è impegnato nel lusso, fenomeno in linea con il Paese: uno studio firmato da McKinsey & Co ha stimato che i consumatori cinesi nel 2013 hanno rappresentato il 27% di questo mercato e nel 2015 cresceranno fino a oltre il 33%.

Il vero boom di personal shopper in Cina è datato 2011, quando ha iniziato a diffondersi sulla Rete il commercio online (una rapida ricerca su Taobao, uno dei negozi più frequentati del gigante di ecommerce cinese Alibaba, ha prodotto oltre 240 mila risultati per il termine daigou).

Ma il trend si preannuncia altrettanto positivo anche nei prossimi anni: se nel 2013 il giro d’affari delle piattaforme di commercio online di Pechino ha quasi raggiunto i 170 miliardi di dollari (contro i 226 degli Usa), nel 2016 è destinato ad arrivare a 356 miliardi: un record cui nemmeno Washington riesce a contrastare, visto che i dati indicano per gli Usa una crescita fino a 327 miliardi di dollari.

Ma il boom dei consulenti allo shopping è stato determinato anche dalle pesanti tasse che in Cina gravano sui beni di lusso: i prezzi di orologi, cosmetici, borse e vestiti sono maggiorati del 20%, le gemme preziose del 10%, mentre oro argento e platino del 5%. Per questo motivo la classe media ha cominciato a rivolgersi al mercato estero alla ricerca di questi prodotti, avvalendosi dei personal shoppers che acquistano i prodotti e poi li piazzano online. Uno studio di McKinsey & Co ha stimato che un terzo degli acquirenti di lusso cinesi si reca a comprare in Europa.

Per queste ragioni si sono diffusi nel Dragone alcuni siti specializzati per soddisfare queste esigenze: in pratica la merce si acquista online e poi si riceve a casa oppure la si recupera in un centro di raccolta. Mo Daiqing, analista del China e-Commerce research centre ha confermato al Financial Times che il business s’è diffuso proprio a causa delle tariffe sull’importazione e sul lusso imposte da Pechino: avvalersi di un personal shopper significa risparmiare anche il 50% (per esempio sui cosmetici) dei costi. Un danno per la Cina, un enorme vantaggio per i cittadini.

La pesante tassazione ha generato, dunque, una forte diffusione di personal shoppers, anche “freelance”: a Shenzhen, megalopoli cinese al confine con Hong Kong, la dogana ha registrato che ci sono oltre 20 mila persone che viaggiano per fare acquisti per conto terzi facendo la spola tra i due Paesi. Tanto che nel 2013 ne sono stati arrestati circa un migliaio. Ma per la polizia doganale è una battaglia persa, perché secondo i media cinesi sono migliaia gli ‘spalloni’ cinesi.

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