Nel maggio 2015 la Commissione Europea, su iniziativa della commissaria Margrethe Vestager, aveva avviato un’indagine sugli e-commerce europei. Lo scopo era individuare eventuali blocchi o pratiche scorrette che potessero penalizzare le vendite online.

In questi giorni è stata diffusa una relazione preliminare su quanto è emerso nei primi mesi di indagine. I dati confermano che esistono ancora molte restrizioni sugli e-commerce, dovute a pratiche commerciali diffuse che penalizzano i consumatori e limitano la libera concorrenza.

L’inchiesta ha preso in esame circa 1800 imprese europee che vendono online contenuti digitali e beni di consumo ha analizzato circa 8000 contratti di distribuzione.
Il dato positivo è che il 2015 ha confermato una tendenza di crescita dell’e-commerce, pratica sempre più diffusa tra i cittadini europei.
Secondo l’indagine, più del 50% dei cittadini dell’Unione Europea ha acquistato online e in alcuni stati la percentuale supera l’80%. Inoltre risulta che gli acquirenti sono attenti alle variazioni di prezzo e almeno il 50 % monitora le tariffe dei concorrenti.

Ciò che però è emerso dall’inchiesta UE è anche l’insistente pratica diffusa del geoblocco che impedisce agli acquirenti di comprare liberamente prodotti provenienti da e-commerce di un altro stato membro.
Circa il 60% dei fornitori di contenuti digitali, ad esempio, ha stipulato contratti con i titolari dei diritti al fine di applicare il geoblocco.

Per quanto riguarda invece i venditori al dettaglio di beni di consumo, la commissione ha rilevato che almeno nel 40% dei casi i produttori impongono restrizioni (o almeno raccomandazioni) sui prezzi di vendita; nel 20% dei casi, invece, agli e-commerce sono imposte restrizioni contrattuali; nel 10% sono soggetti a restrizioni contrattuali per l’offerta di siti di comparazione dei prezzi e sempre nel 10% dei casi i fornitori stabiliscono restrizioni alle vendite transfrontaliere.

Se facciamo una media a livello europeo, il 18% dei contratti tra rivenditori e fornitori è soggetto a restrizioni di mercato. Le maggiori  restrizioni si registrano in Germania (32%) e in  Francia (21%).
Inoltre è una tendenza diffusa fare ricorso a  sistemi di distribuzione selettiva, dove la merce  è venduta solo da rivenditori autorizzati. E al tempo stesso sono in continuo aumento i produttori che vendono i propri articoli tramite e-commerce e direttamente ai propri clienti.

Ancora più complesso è l’aspetto legato agli accordi di licenza sui diritti di autore che definiscono quali canali, quali aree e quali modalità di distribuzione possono essere utilizzati.
Secondo l’inchiesta dell’UE il 60 % degli accordi di licenza limita la distribuzione dei prodotti all’interno di un unico stato membro.

Si tratta di restrizioni che possono incidere negativamente nel mercato dell’e-commerce perché limitano la libera concorrenza, la facoltà dei consumatori di disporre di un’ampia offerte di prodotti e, di conseguenza, di individuare quelli dai prezzi più bassi.

I risultati finali dell’indagine della Commissione Europea sono previsti per il primo trimestre del 2017 ma, già da quanto rilevato sinora, è evidente che siano molti i margini di intervento su cui operare.

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