Tasse-Ecommerce-2014Del tutto inaspettata e anacronistica, la mossa proveniente da Argentina e Russia – pesantemente colpite dall’inflazione – fa tornare in auge le gabelle doganali e altre forme di disincentivo all’acquisto all’estero via web. Così le due nazioni tassano l’arrivo di merce straniera dal web nel tentativo di trattenere valuta nei propri confini.

La situazione dell’Argentina
Nello Stato sudamericano il governo, preoccupato da un’inflazione che sta per sfiorare il 30%, chi vuole comprare da Paesi stranieri deve compilare un formulario sul sito dell’amministrazione fiscale e si deve fare carico di una tassa del 50% sui prodotti esteri che abbiano prezzo uguale o superiore a 25 euro. Come se non bastasse, c’è un ulteriore carico del 35% se si compra tramite carta di credito emessa dalla banca argentina. Un durissimo colpo, soprattutto se si considera che – secondo i dati forniti da Sunny Sky Solutions, una società che si occupa di business in America Latina – gli argentini spendono il 20% del loro reddito in acquisti online, poiché il web rappresenta per loro l’opportunità non solo di risparmiare ma anche di trovare prodotti non reperibili sul territorio.

La situazione della Russia
In Russia l’inflazione si attesta su percentuali meno elevate, intorno al 6%, ma anche qui il governo ha dichiarato guerra alla fuga di capitali attraverso l’e-commerce. Nuove regole e controlli sulle consegne a domicilio dei pacchi, nonché l’abbassamento delle soglie per i dazi doganali, hanno convinto due grandi operatori come FedEx e Dhl e, in Italia, Poste Italiane ad annunciare la sospensione delle attività sul territorio russo. Le formalità burocratiche, talvolta, possono costituire un disincentivo maggiore delle tasse per la libera circolazione delle merci e, dall’inizio del 2014, sono aumentati sensibilmente i documenti che è necessario esibire per il trasporto di prodotti. Eppure anche in Russia il commercio elettronico sta vivendo una rapida crescinta: i negozi online sono aumentati del 35 % nel 2012, secondo i dati della società di consulenza russa InSales.

Questi due casi rappresentano una testimonianza molto importante per comprendere le difficoltà e le barriere che ancora ostacolano la diffusione dell’e-commerce su scala internazionale: secondo l’economista di Le Monde, Thomas Orliac – specializzato proprio in commercio internazionale – queste “barriere non tariffarie“, quali controlli sulle consegne, formalità burocratiche, controlli sanitari etc, sono in aumento in tutto il mondo e rappresentano un vero e proprio impedimento al commercio internazionale tramite web. Inoltre non tutti i prodotti possono viaggiare da un Paese all’altro senza problemi. Esistono alcune categorie, per esempio quelle regolate da diritti d’autore, che non possono essere trasferite con l’identica disinvoltura usata, per esempio, per un paio di scarpe.

Per quanto riguarda l’Italia, i recenti studi condotti dal MMOne Group, agenzia specializzata in servizi e-business per le aziende, si registra ancora un notevole ritardo rispetto agli altri paesi europei: nella classifica, il Belpaese si piazza al venticinquesimo posto su 28 Paesi analizzati, precedendo solamente Grecia, Bulgaria e Romania.

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