Nel mese di Luglio Sergio Marchionne, Cristiano Ronaldo e Francesco Molinari hanno catalizzato l’attenzione dei media mondiali.
La Tav e le Olimpiadi invernali 2026, contemporaneamente, hanno ulteriormente attirato l’attenzione dei media sul Piemonte e su Torino.
Tre storie e destini diversi, un unico riferimento, il modello Torino. Nei loro rispettivi campi, 3 protagonisti che hanno fatto del loro lavoro e passione, uno stile di vita. Storie che si intrecciano ed incrociano e che hanno più cose in comune di quanto, a prima vista possa apparire. Anche le vicende pubbliche hanno un sottile file rouge.
Francesco Molinari, detto “Chicco”, laureato in economia, padre di 2 figli, residente a Londra è diventato il più importante giocatore di golf della storia italiana vincendo per primo, quest’anno, uno dei 4 major più importanti al mondo.
Quando ha alzato al cielo la Claret Jug, per il golf italiano si è aperta una nuova epoca. Francesco Molinari è un emigrante di lusso, ovvero una persona che ha scelto di trasferire a Londra la propria base operativa e la propria famiglia per essere più baricentrico rispetto ai campi di golf del tour europeo ed al suo maestro di riferimento.
Da alcuni anni partecipa anche al tour americano per cui, per parte del suo tempo, è impegnato oltre oceano. Figlio di un noto dentista torinese, deve al contesto famigliare, ai genitori Paolo e Micaela ed al fratello maggiore Edoardo, detto “Dodo”, la serenità ed i principi con cui è stato cresciuto. Va bene lo sport ed il golf, ma prima viene lo studio.
Su questo punto i genitori e la mamma, in particolare, non hanno mai accettato compromessi. L’idea calvinista della formazione, dello studio, dell’impegno nella vita scolastica e lavorativa successivamente, e l’impegno e dedizione nello sport sono frutto della forma mentis dei genitori. Una vita agiata, ma mai sopra le righe, tra i campi della Mandria, al circolo Torino, tuttora circolo che Francesco, socio d’onore, ha scelto di rappresentare. “ il mio circolo, quello dove sono cresciuto e quello dove mi sento come a casa “ ha detto Francesco Molinari. Il circolo di famiglia in cui continuano a giocare anche i genitori. Quello che è straordinario di Francesco ed Edoardo Molinari è la crescita che hanno avuto dopo l’esperienza di giovani del circolo. Nell’età giovanile avevano già raggiunto i massimi livelli italiani come dilettanti, ma allora era impensabile immaginare cosa entrambi hanno realizzato negli anni successivi e che cosa sta facendo oggi Francesco ed al potenziale che ancora entrambi potranno esprimere. Una coppia di fratelli che ha portato nel mondo la bandiera italiana e la educazione torinese. Mai un gesto sopra le righe, compassato, anche nei momenti unici che ci ha fatto vivere, l’esuberanza di Francesco quando vince, è già diventata un modo d’essere.
Cristiano Ronaldo, 5 palloni d’oro, non ha bisogno di presentazioni. Quando è iniziata a circolare la voce di un suo possibile arrivo alla Juventus, la maggior parte dei media e commentatori, hanno pensato ad un ballon d’essai, ad un sogno di mezza estate. Quando lo stupore si è tramutato in realtà, è emersa la dimensione del sogno. Cristiano Ronaldo ha scelto di venire a Torino alla Juventus. Il miglior giocatore al mondo ha accettato la sfida di misurarsi con il campionato italiano e la prossima champions, per fare la differenza, dimostrando che indipendentemente dalla squadra, Lui è sempre il miglior giocatore al mondo. I media non lesinano storie e filmati sulla scrupolosità ed intensità di Ronaldo nell’allenarsi per avere un fisico bestiale. La meticolosità ed attenzione riposta negli allenamenti e del gesto tecnico, il ricorso alle migliori tecnologie per conservare intatta la esplosiva forza muscolare, lo stretto regime alimentare per ridurre la massa grassa, dipingono Ronaldo come un grande professionista, attento ed intento a preservare una macchina allenata. Nelle prime immagini di Ronaldo compare sempre la Madre, figura di rilievo nella educazione del figlio, ed accompagnato dal nucleo di famigliari ed amici al seguito. Non possiamo che prevedere che Ronaldo si troverà benissimo a Torino. Città discreta e rispettosa, nonostante la Ronaldomania abbia contagiato già larga parte dei tifosi bianconeri, Torino permetterà al bomber di trovare la sua dimensione ed il suo rifugio quotidiano, lontano dagli eccessi del tifo.
La terza storia è la più sconvolgente e toccante. Sergio Marchionne il nuovo eroe dei 2 mondi, il salvatore della Fiat e della Chrysler è mancato, nel più assoluto riserbo, in una grigio ospedale svizzero, senza più fare ritorno al proprio lavoro. Una intera vita dedicata allo studio ed al lavoro, in cui la parte dedicata allo svago è sempre stata compressa, prima per necessità e poi per scelta. Anche Marchionne è arrivato a Torino come un marziano, una persona ed un manager lontano dalla corte degli Agnelli e dal’entourage famigliare che a vario titolo lavora nella “ditta”. A Torino e nella Fiat, Marchionne ritrova i valori in cui è stato allevato. Figlio di Concezio, maresciallo dei carabinieri e di Maria Zuccon, dalmata, emigrati in Canada, dove Sergio Marchionne conosce le difficoltà della lingua e del gap culturale. Li supera impegnandosi e probabilmente soffrendo fino a diventare un plurilaureato. Quando approda a Torino, la leggenda racconta che si presenti, come un cliente qualsiasi, nella filiale Fiat di corso Bramante per chiedere alcune informazioni sulle vetture esposte. A parte l’attesa in locali che ormai avevano fatto il loro tempo, riceve risposte poco convincenti dai venditori, che da un lato lo inducono a creare il Mirafiori village, show room in linea con le aspettative per presentare il prodotto, dall’altro a chiedere la testa del responsabile della filiale.
Leggenda o realtà, la storia fa velocemente il giro della città ed imprime una forte scossa all’interno della Fiat. In città è sbarcato un marziano, che riorganizza sia le fabbriche e la dignità dei luoghi di lavoro, sia pone il cliente al centro dell’attenzione dell’azienda. Sostituisce la prima linea di dirigenti con dei quarantenni ad alto potenziale, a cui chiede soprattutto di osare, sperimentare, provare soluzioni e punti di vista diversi dal consueto ed ordinario. Pochi giorni prima del lancio della 500, che prevedeva uno straordinario spettacolo sulle rive del Po, organizzato da mesi, Marchionne rivede personalmente la scaletta del lancio, gettando nel panico il suo staff. Crede e si profonde nella crescita dei giovani. Partecipa a dibattiti, presentazioni, speach nelle varie università. Su questi presupposti, uniti alla necessità di avere i conti in regola ed i necessari margini di profitto per vivere e successivamente prosperare, si fondano le basi del rilancio della Fiat, senza guardare in faccia a nessuno, siano essi politici, sindacati, manager, imprenditori. Questo è Sergio Marchionne. Un uomo, che sa di essere solo quando assume le decisioni. Una solitudine al comando, che diventa un tratto distintivo, della piena assunzione della responsabilità dell’incarico, anche nei momenti gravosi, in cui sul percorso per vincere la guerra, si è consapevoli che a volte si perdono le battaglie e si contano i feriti e le perdite. Marchionne è sempre stato consapevole delle proprie scelte e delle implicazioni che queste avrebbero avuto sulla vita aziendale e dei propri dipendenti ed in ultima analisi del Paese. Una responsabilità morale che pesava sulla testa di Marchionne ed il cui peso portava in solitudine, insita nella disciplina del comando.
La discreta Torino ed i torinesi consentono a Marchionne di vivere una vita riservata. Dopo la separazione dalla moglie, Sergio Marchionne aveva ricostruito una vita con la collega Manuela Battezzato, che lavora nell’area comunicazione del gruppo FCA. Non una foto in comune, un pettegolezzo, una presenza fuori luogo. Nella più assoluta discrezione e nello stile della città. Quando Marchionne abitava in Corso Vittorio Emanuele, non lontano dal monumento, non era raro incontrarlo nella pizzeria di fronte a casa, oppure in collina al ristorante “ da Giudice “. Quando un paio di anni fa ha traslocato al Fante, nell’isola pedonale, frequentava il mercato della Crocetta. Per quanto fosse consistente, la sorveglianza e gli uomini della scorta, con discrezione hanno vegliato su quest’uomo, che ha sempre suscitato forti riserve ed avversione nel mondo sindacale e della sinistra. L’indecente spettacolo offerto dai commenti sul letto di morte, quando la persona non aveva mezzi per reagire è una triste pagina tutta italiana, sia in termini umani, che storici. Dopo un iniziale innamoramento per questo manager, tanto schietto quanto diverso dagli omologhi che lo hanno preceduto, i sindacati si sono resi conto che l’amara ricetta e cura che la situazione della Fiat, tecnicamente fallita, imponeva dei sacrifici in termini di occupazione ed aumenti salariali. A quel punto i sindacati scelsero la strada più facile dal punto di vista del consenso, rinunciando ad un confronto costruttivo, al punto che le votazioni dei lavoratori in fabbrica certificarono la linea di Marchionne, sancendo un ridimensionamento dell’influenza sindacale. L’approccio alla crisi FCA da parte del sindacato americano e quello italiano meriterebbero un approfondimento e ci auguriamo che il tempo possa consentire una analisi seria e lucida dei fatti e delle scelte fatte.
I tratti comuni che uniscono Francesco Molinari, Cristiano Ronaldo e Sergio Marchionne, sono una intelligenza fuori dal comune nel proprio ambito. Una forte ambizione e determinazione nel voler raggiungere l’obbiettivo posto. Una educazione che ha temprato e forgiato il carattere. Una famiglia od un genitore di riferimento, che ha saputo trasmettere i valori, ai figli. Una integrità morale. Un impegno quotidiano a migliorarsi a provare e sperimentare nuovi soluzioni nell’ottica del miglioramento continuo. Nulla di troppo. Semplicemente il necessario per essere straordinari, senza disperdere energie ed effettuare voli pindarici.
Nella stessa Torino però convivono anime diverse. Una Torino che si croggiola nell’idea di aver sempre rappresentato un esempio ed una guida del paese: prima capitale d’Italia, la città dei Re d’Italia, la città della più grande azienda italiana e della più potente famiglia italiana, la città della Santa Sindone, del Museo Egizio, dei Gobetti, dei Bobbio, degli Einaudi, di Rita Levi Montalcini, del cioccolato e del caffè, della Juventus e del grande Torino, oggi annaspa nel buio.
Una imprenditoria che da tempo si è arroccata delegando ai politici la rappresentanza della società civile. Una classe politica molto acerba, arrogantella, che governa a proclami più che con i programmi.
Gli episodi della Tav e delle Olimpiadi invernali 2026 sono purtroppo la conseguenza di quello che abbiamo oggi. Come ben sappiamo, ciò che abbiamo oggi è frutto delle scelte che abbiamo compiuto negli anni addietro.
Probabilmente sono uno sprovveduto e poco avvezzo alle dinamiche della politica, ma mi sfugge il motivo per cui il presidente del Coni, il navigato e diplomatico Giovanni Malagò, che si è già visto rifiutare la candidatura di Roma alle Olimpiadi, che ha assistito alla retromarcia sulla TAV, ad uno stop all’Ilva, ed ad una polemica interna al movimento 5 stelle a Torino sulla candidatura della città alle Olimpiadi invernali 2026, debba decidere di scommettere sulla sola Torino e sulle sue valli per rappresentare l’Italia alle prossime Olimpiadi del 2026?
Sono altrettanto sprovveduto nel sentire e leggere i documenti dei 5 stelle piemontesi e torinesi, che sostengono la candidatura Torino.
Da un punto di vista tecnico, probabilmente Torino è la soluzione migliore sia perché abbiamo già avuto le Olimpiadi nel 2006 e quindi i costi sono contenuti, sia perché abbiamo le Alpi con diverse stazioni sciistiche a meno di 100 km.
Manca purtroppo la fiducia nelle istituzioni, che è un qualcosa che si conquista con l’impegno quotidiano e con i comportamenti. Sono giorni di candidature, di discussioni per cui l’ultima parola non è ancora stata scritta. Probabilmente la odierna candidatura italiana, che coinvolge Torino, Milano e Cortina è la soluzione più realista e che consente più opportunità rispetto alla data del 2026, in attesa che gli eventi della politica, che mai come questa volta hanno interferito nelle decisioni sportive, facciano il loro corso, verso l’ennesimo governo che ribalterà quanto deciso dal suo predecessore.
Se da un lato non c’è che da essere ammirati da quanto il modello Torino ha sempre saputo esprimere, non solo per le eccellenze qui raccontate, ma per l’operosità ed impegno che i cittadini quotidianamente dimostrano, dall’altro lato non si comprende questo desiderio di distruzione dei nostri politici, fine a se stesso, senza la minima prospettiva futura.